
Se proviamo a fare una classifica dei reggini più famosi, un posto spetta sicuramente a Santo Versace. Per quanto il fratello Gianni, uno dei più grandi stilisti che ci siano mai stati al mondo, scomparso tragicamente a Miami il 15 luglio 1997 (ucciso in circostanze mai chiarite del tutto), sia un mito internazionale, anche il fratello maggiore, che ieri ha compiuto 80 anni, merita questo riconoscimento.
Perché al tempo della casa di moda allora più famosa, Santo era sì sempre un passo indietro rispetto a Gianni, mai però nell’ombra, perché il suo ruolo nella società di famiglia, prima presidente e poi amministratore delegato, è stato fondamentale. Non sarà certo un caso se è rimasta celebre la frase di Giorgio Armani, lo storico competitore di Gianni (esempi di due stili completamente diversi), che disse: «L’unica cosa che invidio a Versace è il fratello Santo». Toccò a lui anche il compito straziante di dover riconoscere la salma del fratello, ancora con la testa sanguinante: «Un dolore che non finirà mai».
Ricordiamo a Santo le parole di Armani, in occasione del suo compleanno, festeggiato a Villa Miani, a Roma. «Io e Gianni – dice – abbiamo sempre lavorato insieme. Lui era il genio assoluto, creava e si occupava di collezioni, sfilate, campagne fotografiche e comunicazione. Tutto il resto, produzione e distribuzione, era affidato a me. Eravamo una mela tagliata a metà. Donatella era sempre accanto a lui». Adesso, dice, comincia la sua quarta vita, forte anche di una risonanza magnetica che ha stabilito che il suo cervello è «molto giovane».
Continua a essere superattivo con la sua casa di produzione cinematografica, che ha appena realizzato la serie tv (la vedremo su Raiuno) sulla vita di Oriana Fallaci, «Miss Fallaci», e interpretata da Miriam Leone, e con la Fondazione che porta il suo nome, dedicata a opere di beneficenza e creata con la moglie, anche lei reggina, l’avvocata Francesca De Stefano. Sposata “a sorpresa” dieci anni fa (matrimonio civile, cui si è aggiunto quello religioso lo scorso anno) proprio nel giorno del suo settantesimo compleanno, che da allora è una data di doppia festa.
Ma la sua prima vita, ricca di affetti, è indissolubilmente legata a Reggio Calabria. «Quando giravo il mondo, mandavo sempre una cartolina a quella che consideravo sempre la mia casa». Certo, di cartoline deve averne spedite molte, visto che Maison Versace ha aperto 120 boutique in tutto il mondo e lui, Santo, in un solo giorno era capace di muoversi in aereo anche in quattro città diverse, e pure in Paesi diversi.
«La nostra fu un’infanzia bellissima nonostante il dolore per la perdita di mia sorella Tinuccia a 10 anni, in parte poi compensata dalla nascita di Donatella che riportò il sorriso a casa. Io ho cominciato a lavorare a 6 anni, su mia richiesta, nella bottega di mio padre, che allora si occupava della vendita di carbone».
Quando si parla di famiglia, a Santo piace partire da lontano. Racconta che il nonno, Giovanni Battista Olandese, era un socialista anarchico e per questo era finito al confino, a Lipari. Li conobbe e poi sposò Maria Bertè: da loro nacque Francesca, la madre dei fratelli Versace, al suo tempo sarta celebre a Reggio con un atelier molto noto. «L’atelier – racconta della sua prima vita – era in via Domenico Muratori e funzionava come la più importante sartoria dello Stretto con una straordinaria clientela a Reggio e Messina. Nella casa che abitavamo oltre il cortile è nato Gianni. Poi fu trasferito in via dei Correttori, quindi in via dei Pritanei. Seguirono i negozi, il primo aperto nel giugno del 1965, e poi quelli Donna, Uomo e Bambino. Per Gianni la sartoria è stata come una bottega del Rinascimento, dove ha imparato l’arte ed era coccolato da tutte le donne che vi lavoravano. Era un vero figlio della Magna Grecia».
E, se parla del padre Antonino, lo fa come se fosse una specie di Superman: «Era un grande atleta, giocò titolare, fascia sinistra, nella Reggina, in serie C. Vinceva anche le corse ciclistiche e fu campione di corsa campestre. Da ragazzo corse i 100 metri in 11’03”. Non solo: amava raccontare dei grandi classici greci e latini e si entusiasmava con l’Orlando Furioso». Poi per Santo ci sono stati gli anni della pallacanestro, nella Piria prima e nella Viola dopo, e quelli della laurea in Economia e Commercio nell’Università di Messina, quindi lo studio, subito molto avviato, da commercialista nella sua città. Davanti aveva una tranquilla carriera professionale. Invece no, perché in famiglia c’era un fratello geniale.
Già notato mentre viveva a Reggio, Gianni fu ingaggiato a Milano da Florentine Flowers e naturalmente il contratto fu supervisionato da Santo. Era l’inizio dell’avventura (la seconda vita) che portò alla creazione del marchio Versace. «La prima società – racconta – era in accomandita semplice e fu costituita a Reggio Calabria nel 1972/73 nel mio studio. Eravamo soci io, Gianni, mio padre e mia madre. Mio fratello cominciava una nuova avventura e io ero sicuro che avrebbe avuto successo. Me lo sentivo, vedevo come già lo interpellavano da vari atelier italiani».
Così Santo partì con lui, fra una certa contrarietà del padre («Chi pensa al tuo studio da commercialista?») e il favore della madre («Non lasciare Gianni da solo»), cominciando quella che sarebbe stata una bellissima storia, che mai avrebbe meritato quella tragica fine. Sono tutti episodi che Versace ama raccontare e che, insieme, con tantissimi altri, ha inserito nel suo libro «Fratelli. Una famiglia italiana», edito da Rizzoli due anni fa. Un libro, è stato scritto, «onesto e diretto. Nulla traspare né di antagonistico né di idolatrico rispetto a Gianni».
Lui teneva i conti, cercava di frenare le spese del fratello, specie quando voleva acquistare opere di Picasso, e anche quando si dovevano fare i contratti, molto costosi, con le modelle più famose («Naomi Campbell era come una sorella per Gianni; la più bella era Christy Turlington»).
Ma dopo il grande successo arrivò l’enorme dolore, condiviso nel giorno dei funerali con Lady Diana (che sarebbe morta tragicamente pochi giorni dopo): «Fu lei a tenermi la mano per mezz’ora, cercando di consolarmi». Da lì comincio la terza vita, quella del recupero di se stesso. Di quel tempo gli rimane anche il dispiacere della mancata fusione con Gucci, che avrebbe creato un marchio tutto italiano, che sarebbe stato famoso ovunque. «Quattro giorni prima della morte di Gianni – dice Santo – a Milano avevo firmato, in qualità di amministratore del gruppo, un accordo con la banca americana Morgan Stanley, che prevedeva di portare in quotazione il gruppo Versace attraverso un accordo con Gucci. Un grande progetto, nel quale mio fratello credeva molto, era convinto che saremmo stati primi nel mondo. Ma il delitto di Miami fece saltare tutto».
Per capire il dispiacere di Santo, occorre ricordare che lui è stato sempre convinto della necessità di tutelare il valore del made in Italy: nel breve periodo in cui fu deputato, dal 2008 al 2013, si fece promotore della legge sull’argomento ed è stato anche il creatore di Altagamma, il comitato dei marchi di lusso italiani. Adesso, oltre alla produzione di fiction, pensa soprattutto alla Fondazione, che in questi giorni ha lanciato il suo primo progetto internazionale: «Insieme con mia moglie Francesca lavoriamo a “Il miracolo della vita” per una casa nella baraccopoli di Nairobi - Kybera, dove sono accolte donne che vivono per strada insieme con i loro bambini. Un luogo sicuro in cui queste madri possono rinascere».
Santo Versace ha ritrovato la religiosità della sua infanzia («sono stato boy scout») e dice: «Francesca, che ha 25 anni meno di me, è riuscita a farmi superare tutti i traumi. Il matrimonio religioso che abbiamo celebrato nel luglio dell’anno scorso, dopo quello civile nel 2014, è stato per me molto significativo». E allora avanti con la quarta vita!
Caricamento commenti
Commenta la notizia