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Reggio e la sconfitta della Capitale della Cultura. Castrizio: «Il disastro ha radici profonde»

I miei concittadini vogliano perdonare i miei sfoghi dei giorni passati: io non faccio politica e non mi candido a niente, anzi, mentre scrivo queste riflessioni più pacate, dichiaro di non essere disponibile a rivestire alcun incarico in qualunque amministrazione, perché noi reggini abbiamo visto fin troppi Cicero pro domo sua in circolazione, e io non faccio parte di questa schiera. Altra doverosa premessa è che nessuno è autorizzato a utilizzare le mie idee come una clave da usare contro avversari politici.

Il disastro culturale di Reggio non si origina certo dalla giornata della proclamazione della Capitale della cultura 2027, ma ha radici più profonde e lontane nel tempo. Di fatto, è mancata finora una regia progettuale, una visione, una idea complessiva per il comparto culturale, dovuta, a mio avviso, a varie ragioni, tra cui, non ultima, una classe dirigente borghese che ancora crede di vivere nell’Ottocento, con i riti obsoleti che usavano allora: una cultura per “signori”, che esclude il corpaccione non acculturato delle periferie, lasciato agli after hours, alla pacchiana ostentazione, alla scelta del prossimo Suv da comprare, alle frittole e ai pipi chini (buoni!), alle sagre e ai concerti pop di piazza.

Per una riflessione seria, poi, a mio modesto avviso, occorre riconoscere l’elefante nella stanza: Reggio deve produrre e consumare cultura. Oggi, invece, la città quasi non produce cultura e sicuramente consuma prodotti culturali acquistati chiavi in mano da fuori. Nel timido risveglio del turismo in città, che ama gustare i prodotti tipici dell’enogastronomia, da anni vado gridando che servano librerie a km zero, che mostrino i prodotti culturali e letterari di questa terra, invece di inseguire mode nazionali imposte dall’alto. Il problema, come al solito, è culturale.
Su questa scia, mi permetto di far notare come alcune benemerite associazioni culturali, ben finanziate dalla macchina amministrativa, svolgano la loro preziosa attività chiamando a Reggio celebrità nazionali (cosa che serve a sprovincializzare), ma non hanno mai promosso una eccellenza locale, per aiutarla a fare il salto nazionale. Il provincialismo è una gran brutta malattia, a mio modesto avviso.

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