Il comparto agrumicolo a nord di Reggio rappresenta una fonte minima di sostentamento per i produttori e operatori delle varie fasce – piccole e medie imprese, aziende di trasformazione, indotto – ma all’orizzonte non mancano le incognite.
Arance, mandarini, limoni (volendo qui tacere del bergamotto) compendiano una ricchezza pure di ordine culturale e sociale. Ma nel dopoguerra lo “spessore” era ben differente. Intere generazioni hanno potuto far crescere i figli, mandarli a scuola, all’università. Si parlava di un migliaio di agricoltori. Si muovevano, allora, due miliardi di lire d’introito e si gestiva il bilancio familiare.
Oggi il numero si è contratto, fra tasse e burocrazia. Inoltre acqua e luce costano. Di riflesso si cura l’agrumeto nel tempo libero.
Molti appezzamenti sono incolti. La zona è suddivisa tra piccoli proprietari da 1.000-2.000 metri che, per lo più, non traggono profitti, ovvero vanno avanti con sacrifici. Ne inquadriamo a grandi linee le problematiche durante una visita nella Vallata del Gallico, in una mattinata di pioggia. Tematica complessa.
Tre i problemi su cui punare il dito, come riporta la Gazzetta del Sud in edicola. L’Unione Europea ha avuto l’idea di aprire per la prima volta ai Paesi nordafricani l’importazione di agrumi di qualità mediocre, scarsa cooperazione insita nella tradizione agricola locale e infine i capricci del clima.
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