Un'agonia lenta e inesorabile. Uno strazio che, a dire il vero, per Palazzo San Giorgio dura da troppo e lo spettro del dissesto, ormai imminente, rappresenterebbe un'ulteriore mortificazione per la città dello Stretto. E soprattutto per i cittadini, costretti ormai dal 2013 a sopportare tariffe altissime per i tributi comunali per risanare le casse dell'ente pressoché all'osso. Da inizio marzo però, il brusco ritorno a un'amara e triste realtà. Tutti i tagli e i sacrifici rischiano comunque di portare a un epilogo che l'amministrazione Falcomatà ha sempre voluto evitare: il dissesto finanziario. Il sindaco sta tentando il tutto per tutto in questi pochi giorni che mancano alla data finale del 30 aprile, termine ultimo per approvare il bilancio o portare in giunta l'atto di indirizzo al Consiglio comunale per deliberare il crac di Palazzo San Giorgio.
Dopo la delibera della sezione autonomie della Corte dei Conti, che ha sostanzialmente confermato quanto deciso dalla Corte Costituzionale, sono partiti una serie di contatti informali con i parlamentari per trovare una soluzione ma quello che manca è proprio il tempo. Non ci sono i termini per una modifica del testo unico degli enti locali sulle crisi finanziarie (promesse dal Governo), non ci sono soluzioni alternative e manca una via d'uscita immediata.
Ancora una volta i facili entusiasmi (tra tutti quelli di Federica Dieni e Francesco Cannizzaro, a dire il vero rassicurati dal vice ministro Laura Castelli) si sono rivelati fatui. Al pari di quello del sindaco che aveva gioito per il rinvio del termine per approvare il bilancio, arrivato peraltro al fotofinish. Un mese di tempo per ragionare, pur nella generale consapevolezza che una chiara sentenza della Corte Costituzionale era difficile da superare. Eppure, nonostante ciò si stavano cercando soluzioni che di fatto non esistono e ritornare al piano di riequilibrio approvato dalla commissione straordinaria spalmato in dieci anni vuol dire dissesto. Perché i soldi da restituire non ci sono.
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