Gli effetti della crisi pandemica non hanno tardato a manifestarsi sul mercato del lavoro reggino, nonostante il blocco dei licenziamenti imposto dal Governo abbia permesso di posticipare comunque parte del problema. Nel corso del primo semestre del 2020, infatti, nel territorio della Città metropolitana di Reggio Calabria sono stati persi quasi diecimila posti di lavoro (-6,6% rispetto al 2019). Una dinamica senza dubbio preoccupante che, tuttavia, appare leggermente migliore di quella media regionale, dove la variazione si è attestata al -8,2%. “Nonostante le misure a contrasto degli effetti economici della pandemia abbiano in parte mitigato il quadro operativo del mercato del lavoro reggino, già nei primi mesi del 2020 abbiamo riscontrato una perdita di quasi diecimila posti di lavoro. Una contrazione che, con ogni probabilità, sarà ulteriormente acuita dal contesto tutt’altro che favorevole sperimentato durante la seconda metà dell’anno. Appare quanto mai necessario sostenere le nostre imprese per il 2021 e gli anni futuri perché solo facendo ripartire gli investimenti si potranno ricreare le condizioni per una ripresa delle assunzioni”. Queste le parole del presidente della Camera di commercio di Reggio Calabria Antonino Tramontana all’uscita dei dati Istat sul mercato del lavoro reggino. Anche il tasso di occupazione subisce una battuta di arresto, con solo il 37,0% della popolazione attiva compresa tra i 15 e i 64 anni che dichiara di essere impiegata. Un valore di 2,2 punti percentuali inferiore rispetto a quello di fine 2019 che colloca l’area metropolitana reggina 2,1 punti al di sotto della media regionale e oltre venti punti al di sotto di quella italiana. La debolezza del mercato del lavoro derivante dalle numerose restrizioni imposte dal Governo all’attività d’impresa ha influito anche sull’orientamento dei senza lavoro a cercare un impiego. Il tasso di attività, infatti, diminuisce del 12,9% rispetto al 2019, il che si traduce in circa 23 mila persone in meno che sono occupate o alla ricerca attiva di un impiego. Ciò determina un effetto positivo sulla disoccupazione, calcolata come numero di persone non occupate alla ricerca attiva di un lavoro. Posto in questi termini, non stupisce che il tasso di disoccupazione migliori, portandosi dal 18,9% del 2019 al 13,1% del primo semestre del 2020. Ciò non accade per i più giovani, con il tasso specifico riferito alla popolazione 15-24 anni in aumento di oltre 7 punti percentuali. Il clima recessivo sul fronte del lavoro, peraltro, appare confermato anche dalla recente indagine prodotta da Unioncamere e ANPAL, nell’ambito delle tradizionali rilevazioni mensili del Sistema informativo Excelsior relativo alle previsioni dei fabbisogni occupazionali delle imprese. In uno specifico approfondimento, infatti, si evince come il 61,4% delle imprese con almeno un dipendente si trovi ad operare a regime ridotto rispetto ai livelli pre-emergenza, mentre solo il 35,3% delle imprese svolge le proprie attività a regimi simili a quelle pre-COVID. Ne consegue che, nonostante la maggior parte (il 77,4%) abbia dichiarato un andamento occupazionale stabile nel secondo semestre 2020, esiste comunque un quinto di intervistati che dichiara di voler ancora procedere sulla linea di riduzione della forza lavoro impiegata.