Scriveva Francesco Cilea, ormai operista affermato: «L’insegnante di pianoforte era allora in Palmi il maestro Rosario Jonata, direttore della Banda cittadina. Ricordo i pezzettini (quasi sempre trascrizioni di opere teatrali in voga) che la zia studiava sotto la mia guida. Inutile dire che io da bambino ero sempre accanto al pianoforte che la zia strimpellava. Non riuscivo però a rimanere fermo se udivo in lontananza sonare la banda in marcia, o se era giunta l’ora di vedere i concerti in villa, il giovedì e la domenica…». I ricordi di bambino del grande compositore calabrese riflettono la gran parte della sua produzione pianistica, composizioni per lo più intimistiche o delicatamente salottiere, ma non senza qualche interessante suggestione di sapore arcaicizzante o impressionista. Sono 39 titoli in tutto, fino a oggi praticamente ignoti alla letteratura “ufficiale”, non essendo mai stati oggetto di pubblicazione in forma organica. La lacuna è stata colmata da un volume appena dato alle stampe da Ricordi, “Francesco Cilea - Opera completa per pianoforte”. A curarlo è stato il tenore reggino Giuseppe Filianoti, che, sempre con la casa Ricordi, aveva pubblicato cinque anni fa l’integrale delle “Composizioni vocali da camera”. Maestro Filianoti, l’autore di “Adriana Lecouvreur” che tipo di approccio ebbe alla composizione per piano solo? «Didattico, ma non solo. L’apprendistato napoletano di Cilea e la sua lunga militanza educativa, sono tasselli imprescindibili per comprendere la sua posizione di compositore all’interno della Scuola napoletana, alla quale appartiene per due aspetti, legati entrambi al volume: da un lato, appunto, un’attenzione costante alla didattica, a quell’etica del “nulla dies sine linea” che da sempre è stata sinonimo di altissimo artigianato compositivo e che risalta in questi componimenti brevi, in gran parte destinati al consumo quotidiano; e dall’altra un autentico culto del semplice e del bello, al quale educare i giovani discenti come gli ascoltatori più smaliziati». La raccolta contiene molte composizioni giovanili? «Le prime risalgono al 1883, e sono, i primi esercizi cui Cilea 17enne attende al Conservatorio di San Pietro a Majella, dove viene ammesso nel 1878 e viene nominato “primo alunno maestrino” nel 1886. Le ultime sono invece del 1931. Un arco temporale in cui il musicista mette a profitto gli insegnamenti appresi in giovinezza, s’impone come una delle voci più autorevoli del panorama lirico internazionale, e rivolge le sue attenzioni soprattutto all’attività didattica, che lo porterà al vertice del Conservatorio napoletano, da cui aveva mosso i primi passi». L’ultima voce del catalogo è “Piccola suite - Danza” ed è datata 1947. Quelle della maturità sono semplici composizioni occasionali o qualcuna di esse ha dignità da sala da concerto e potrebbe entrare in repertorio? «Il panorama dispiegato dalla raccolta è estremamente ampio e, per questo, adatto a un pubblico con esigenze diverse. Sono pagine di straordinaria ricchezza, dal bozzetto descrittivo al foglio d’album di sapore naturalistico, fino a una scrittura d’insieme (nei brani a quattro mani) destinata a pratiche cameristiche di nobile impronta salottiera. Cilea non trascura nessuno: i principianti come gli amatori, ma soprattutto i concertisti, capaci di apprezzare la scrittura più incisiva, armonicamente raffinata, delle ultime composizioni. Dirò di più: mi pare che, alla luce di questa raccolta, possa essere rivalutata l’immagine del compositore, finora considerato solo come l’autore di un paio d’opere, alle quali tuttora arride un grande successo internazionale». Il riferimento stilistico è sempre quello del bozzetto cameristico, o la scrittura non è impermeabile alle suggestioni moderniste del tempo? Penso ad esempio a un Debussy. «Tutt’altro che impermeabile. Proprio l’apprendistato partenopeo lo aveva messo in ascolto delle principali correnti artistiche fin de siècle, alle quali Cilea si sentì legato durante tutta la sua carriera. La sua biblioteca, del resto, testimonia la sua predilezione per il repertorio francese: i pezzi composti dopo gli anni Venti profumano di echi francesi, amava Massenet, ascoltava “Pelléas et Mélisande” di Debussy, conosceva bene Ravel. Era, insomma, tutt’altro che un musicista confinato alla provincia: Cilea aveva un’apertura, una curiosità intellettuale che le composizioni pianistiche rivelano, forse ancor più delle opere liriche. Pur rimanendo sempre ancorato alla più ferrea e strutturata impostazione compositiva della gloriosa Scuola napoletana, molti pezzi del periodo più tardo sono influenzati dalla musica d’oltralpe». Dopo le composizioni vocali e da camera e le composizioni per piano solo, c’è ancora qualcosa da esplorare nella produzione di Cilea, per arrivare all'opera omnia? «Credo che sia venuto il momento di avviare un’edizione nazionale dell’opera di Cilea. I pochi sondaggi che ho affrontato nel repertorio lirico lo testimoniano: già nel 2012, per esempio, ho eseguito per la prima volta una romanza per tenore, inizialmente prevista per “L’Arlesiana”, che si pensava fosse andata perduta e che invece ho ritrovato tra le carte dell’autore. Si tratta di un “cantiere” al quale attendo da anni, ma il traguardo non è semplice e, soprattutto, credo richieda dedizione, onestà, impegno. Continuerò ad assicurare il mio, nei limiti del possibile, e sono grato alle edizioni Ricordi per il costante supporto alle mie iniziative editoriali». Maestro Filianoti, l’inattività da pandemia l’ha messa benissimo a frutto. A restrizioni allentate la rivedremo presto in scena? «Credo che l’inattività forzata di questi mesi ci costringerà a ripensare tempi e metodi della fruizione musicale e teatrale: la ripresa sarà lenta e complicata, e probabilmente anche gli spettatori chiederanno altro, rispetto a ciò che i teatri sono abituati a proporre. Nondimeno, mi limito a sottolineare che “Adriana Lecouvreur”, il capolavoro di Cilea, in questi ultimi mesi è stata trasmessa in streaming dal Teatro Comunale di Bologna e dal Maggio Musicale Fiorentino: a testimonianza della “tenuta” e dell’importanza di Cilea nel gradimento del pubblico. Una conferma, sicuramente, accompagnata dalla sensazione che la “verità” del messaggio del compositore palmese possa stare al fianco dei più grandi operisti».