In un mondo che fatica a uscire dall’emergenza – e dalla paura – ritrovarsi per fare musica equivale a tornare alla vita. Ci si è ritrovati l’altra sera, un centinaio scarso di persone, alla Chiesa degli Artisti sul corso, con lo spirito di tifosi sugli spalti di uno stadio dopo mesi di astinenza, tifosi di uno sport – gli spettacoli e la cultura in generale – che a differenza del pallone, dall’Italia in lockdown i calci li ha solo presi, in faccia e in altre parti del corpo meno nobili. Ad accendere la luce in fondo al tunnel, a Reggio. non poteva che essere il Coro Lirico Francesco Cilea, che per il primo evento “in presenza” della stagione post pandemia, ha compiuto una scelta desueta e raffinata. La Petite Messe Solennelle di Gioacchino Rossini è difatti partitura di raro e non agevole ascolto. Composizione dell’estrema maturità (1863), compendia in un linguaggio del tutto personale formule operistiche, stilemi della musica antica e squarci davvero abbaglianti di modernità visionaria. “Il mio peccato mortale di vecchiaia” ebbe a definirla il genio pesarese, peraltro noto ateo, che nell’apparente ossimoro del titolo giocò sullo spiegamento completo della liturgia musicata, con il suo “Credo” in versione integrale, giustapposto all’inedita esiguità dell’organico messo in campo: due pianoforti (ma il secondo non ha una parte autonoma, e si limita a raddoppiare il primo), armonium, solisti e coro misto. Organico che lo rende adatto in modo particolare per esecuzioni private o cameristiche o, per l’appunto, nelle chiese. Dal suo podio di direttore e concertatore, il maestro Bruno Tirotta – fondatore, guida e anima del Coro Lirico Cilea, che proprio quest’anno celebra il suo quarto decennio di vita – ha dipanato, e non certo per la prima volta, un piccolo capolavoro, a riprova di come livelli elevati di passione e professionalità, non necessariamente in quest’ordine, una volta raggiunti non c’è epidemia che possa in alcun modo costringere ad abbandonarli. Livelli anche e soprattutto confermati dalle personalità artistiche chiamate di volta in volta a collaborare. In questo caso i maestri al pianoforte Andrea Calabrese e Francesco Allegra, Silvia Scullari all’armonium, e un quartetto di solisti all’altezza di figurare degnamente su ogni palcoscenico. A cominciare dalle due giovani “figlie del coro”, il soprano Marily Santoro, oggi allieva prediletta della grande Raina Kabaivanska, e il mezzosoprano Chiara Tirotta, attesa a giorni al debutto ne “Il signor Bruschino” al Rossini Opera Festival di Pesaro, magnifica nel sublime “Agnus Dei” conclusivo. Non da meno gli uomini: il tenore Stefano Tanzillo, voce di notevole bellezza timbrica, e l’autorevolissimo basso Alessandro Tirotta, artista di incredibile versatilità visto che da anni si fa apprezzare anche come violinista e direttore d’orchestra. Una dinastia di musicisti di valore, e un’istituzione musicale che da quarant’anni promuove e produce bellezza, e “alleva” a sua volta talenti: questa era la “normalità” a Reggio prima della pandemia. Grazie ai Tirotta e al “Cilea” per il “ritorno alla vita” (il concerto è ovviamente disponibile in rete), si coltiva la speranza che in un mondo uscito dall’incubo, la grande musica riesca, ad ogni livello, a contare un po’ di più. A Reggio, e in tutta Italia.