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'Ndrangheta a Reggio: carabinieri uccisi, congelati termini custodia. Da "Gladio" al "Sismi"

La Corte d’Assise d’Appello di Reggio Calabria, presieduta da Bruno Muscolo, a latere Giuseppina Campagna, ha accolto la richiesta della Procura generale, rappresentata dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, di sospendere i termini della custodia cautelare a carico del capo mandamento di Brancaccio, Giuseppe Graviano, e del capobastone della 'ndrangheta di Melicucco, Rocco Santo Filippone, condannati in primo grado all’ergastolo quali mandanti del duplice omicidio dei carabinieri Vincenzo Fava e Antonino Garofalo, assassinati in servizio il 18 gennaio del 1994 nei pressi dello svincolo autostradale di Scilla, uno degli episodi più inquietanti del periodo delle stragi, attuato, secondo l’accusa, dall’ex capo di Cosa nostra, Salvatore Riina.
Nel corso dell’udienza, il presidente della Corte ha informato le parti di una missiva ricevuta e consegnata alle parti in udienza, inviata dal boss della 'ndrangheta Domenico 'Micò Papalia, detenuto nel carcere di Parma dove sta scontando una condanna all’ergastolo quale mandante dell’omicidio dell’operatore carcerario Umberto Mormile, avvenuto l’11 aprile del 1990 a Carpiano (Mi), ad opera di due killer della 'ndrangheta, Antonio Schettini e Nino Cuzzola, successivamente divenuti collaboratori di giustizia. L’omicidio fu firmato dalla cosiddetta «Falange armata carceraria», indicata come una struttura segreta legata a settori dei servizi segreti e alla massoneria deviata.

Il dibattimento - durato oltre quattro ore - è proseguito con l’esame del vicequestore della Dia Michelangelo Di Stefano che ha iniziato a descrivere il risultato del lavoro investigativo affidatogli dalla Procura distrettuale di Reggio Calabria. Il funzionario di polizia ha riferito sulla natura della struttura Gladio e dello 'Stay behind’, «voluti dagli Usa e dalla Gran Bretagna - ha detto - fin dalla fine della seconda guerra mondiale», sciolti il 27 luglio del 1990 per volere del governo presieduto da Giulio Andreotti, strutture che, secondo Di Stefano, «continuarono comunque ad operare sotto la copertura della settima divisione dell’ex Sismi, mantenendo contatti con Cosa nostra, 'ndrangheta e massoneria deviata riconducibile alla loggia P2 per destabilizzare le istituzioni. Un accordo - ha sottolineato Michelangelo Di Stefano - con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato».
Di Stefano, sollecitato dal Procuratore aggiunto della Dda, Giuseppe Lombardo, ha riferito, tra l’altro, del ruolo del defunto boss di Cosa nostra, Antonino Gioè, «uno dei tanti paracadutisti di leva, poi trasferito al reggimento Carabinieri "Tuscania", profilato come capace anche di svolgere operazioni di intelligence», trovato morto dentro la sua cella di Rebibbia, tra il 28 e il 29 luglio del 1993, dove si sarebbe impiccato con i lacci delle scarpe. Gioè, in una lettera indirizzata ai parenti, poco prima di essere rinvenuto cadavere, si era anche scusato con il boss di Platì Domenico Papalia per averlo nominato citando i rapporti tra 'ndrangheta e Cosa nostra.

L’investigatore, inoltre, ha rievocato la testimonianza del pentito di 'ndrangheta Pasquale Nucera relativa ad un summit tenutosi a Nizza, in Costa Azzurra, nell’estate del 1993, cui parteciparono esponenti della 'ndrangheta reggina, come Vittorio Canale e Antonio Libri, insieme all’ex agente del Sismi Antonio Broccoletti e a non precisati agenti dei servizi segreti libici, con l’obiettivo di assoldare un gruppo di contractor dell’est europeo al fine di liberare dal carcere di Rebibbia il capo dei capi di Cosa nostra, dove era detenuto dopo il suo arresto.
Di Stefano ha anche riferito dei numerosi contatti avvenuti a Mogadiscio, in Somalia, tra l’agente dell’ex Sismi, Vincenzo Li Causi, rimasto ucciso in un conflitto a fuoco, e la giornalista della Rai Ilaria Alpi. Il funzionario della Dia, proseguendo nella sua testimonianza, ha tratteggiato anche lo scenario in cui potrebbe essere stato assassinato l’ex presidente delle Ferrovie dello Stato, Lodovico Ligato. Il potente esponente democristiano, ucciso da due sicari della 'ndrangheta con una pistola Glock 18 parabellum, un’arma in grado di sparare a raffica anche cartucce subsoniche, sarebbe stato implicato, ma suo dire, in un traffico d’armi con un imprenditore libanese di origini palestinesi. Il processo riprenderà il prossimo 24 febbraio.

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