Le indagini, attraverso le quali sono stati individuati gli assetti funzionali della cosca Piromalli - di cui è giudiziariamente accertata la primazia nel narcotraffico e l’incidenza territoriale nel controllo della «Piana» - hanno consentito di attribuire agli indagati responsabilità in ordine ai reati di: «associazione di tipo mafioso», «concorso esterno in associazione di tipo mafioso», «porto e detenzione di armi comuni e da guerra»; «estorsioni»; «danneggiamento seguito da incendio»; «turbata libertà degli incanti»; «importazione internazionale di sostanze stupefacenti».
Gli altri dettagli
Le relazioni radicate con le altre mafie: in due diverse circostanze gli indagati hanno avuto la necessità di operare fuori dalla Calabria e lo hanno fatto rivolgendosi agli omologhi esponenti criminali del posto, inseriti rispettivamente nei consessi di criminalità organizzata pugliese e siciliana. Un ambito nel quale sono state rilevate le alleanze trasversali tra le organizzazioni. In entrambe le circostanze gli esponenti dei Piromalli hanno fatto leva sull’intimidazione dei criminali che potevano esercitare il loro potere mafioso nella zona di interesse.
Inoltre, in uno scenario di vita criminale, sono stati richiamati i rapporti tra gli esponenti della «mafia siciliana» e quelli della «‘ndrangheta calabrese», disegnando uno scenario storico lungo oltre trent’anni e che apre un ulteriore scorcio sulle alleanze tra le diverse matrici mafiose nei primi anni novanta.
Le importazioni dello stupefacente dal Sudamerica: un settore criminale ricorrente in ogni attività di contrasto alle maggiori consorterie della ‘ndrangheta, risulta essere quello dei traffici di grosse partite di stupefacente, soprattutto di «cocaina». Il mercato degli stupefacenti ha modificato nettamente l’approccio criminale: dalla contrapposizione alla federazione delle cosche per effettuare l’importazione di enormi quantitativi di droghe. Il sistema di collaborazione tra le diverse realtà della ‘ndrangheta garantisce minori spese e notevoli facilitazioni, oltre all’intuibile riduzione di quello che potremmo definire come il «rischio d’impresa» in caso di sequestri.
In questo ambito un appartenente alla cosca si era impegnato per “importare, in due differenti circostanze, 298 kg e 216 Kg. di cocaina (la prima sequestrata presso il porto di Santos, la seconda al porto di Gioia Tauro, occultata in un container trasportato da una motonave proveniente dal Sud America).”
I ruoli attivi di soggetti delle istituzioni e di un sacerdote: nell’ambito delle contestazioni effettuate è stata ipotizzata una «rivelazione del segreto d’ufficio» in favore degli appartenenti alla cosca Piromalli da parte di un appartenente alle Forze dell’Ordine, che ha posto in essere una condotta non compatibile con gli obblighi di riservatezza imposti dal proprio ruolo. Inoltre, tra le accuse rubricate, vi è anche quella afferente alle «false dichiarazioni o attestazioni in atti destinati all’Autorità Giudiziaria» della quale è chiamato a rispondere un sacerdote (don Giovanni Madafferi, parroco della chiesa "Santa Maria Assunta" di Castellace finito ai domiciliari), al quale è stata contestata la «compiacenza» nel redigere dichiarazioni «di comodo», che gli appartenenti al sodalizio potevano utilizzare per ottenere benefici e misure alternative alle pene.
Il preste sospeso dalla Curia
Don Giovanni Madafferi, il sacerdote arrestato stamattina nell’ambito dell’inchiesta "Hybris», contro la cosca Piromalli di Gioia Tauro, è stato sospeso cautelativamente dal vescovo Francesco Milito. Lo ha comunicato la Diocesi di Oppido Mamertina-Palmi. "Avendo appreso questa mattina dagli organi di stampa - è detto nel testo della nota - le notizie che coinvolgono il sacerdote don Giovanni Madafferi, attualmente parroco della parrocchia Santa Maria delle Grazie e San Giorgio in Sinopoli, la Diocesi esprime rammarico per l’accaduto e confida nell’operato della magistratura. Il vescovo, nel frattempo, ha già adottato nei confronti del predetto sacerdote i provvedimenti previsti in questi casi dal codice di diritto canonico». Il provvedimento riguarda, appunto, la sospensione cautelativa di don Giovanni Madafferi finito ai domiciliari perché, quando era parroco della chiesa 'Santa Maria Assunta» di Castellace, secondo la Dda, avrebbe attestato «falsamente, in certificati destinati a essere prodotti all’autorità giudiziaria, qualità personali, rapporti di lavori in essere o da instaurare relativi ad un soggetto imputato che avrebbe in tal modo dovuto beneficiare dell’affidamento in prova».
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