«Chi sono io per giudicare». Una citazione senza pretesa di risoluzione, tempo di twist leggero ma carico, estivo e comunque positivo. È il titolo del suo nuovo singolo (scritto con Marco Palmerani e Maria Pia Liotta, gli arrangiamenti sono di Stefano Vittozzi), una canzone modello tormentone che Alma Manera ha pensato come un inno al “vivi e lascia vivere”, contro gli "anti" e a favore dei "pro". Una fuga dal classico, per lei calabrese d’origine, figlia d’arte, soprano, ballerina, attrice, performer, attivista, giurata televisiva (nel recentissimo game show di Canale5 “All Togheter Now”) e mamma.
Ma soprattutto «classista d'anime»...
«È il mio modo di dire che prediligo le persone belle quando lo dimostrano nei dettagli. Spesso nelle grandi cose si è come conviene, invece i piccoli gesti rivelano autenticità».
Che ci fanno vangelo e libertà sessuale nello stesso pezzo?
«Condividono l’inclusività dell’essere cristiani, del non ridurci ad un atto. Superano la contemplazione per incrociare le cose concrete, celebrano l’empatia e la sensibilità. La fede poi può essere anche laica, costruirsi su valori positivi e darti lo stesso profilo etico. Io l'ho sperimentato da bambina che la fede è un modo di salvarsi».
Da Broadway a Reggio Calabria com’è stato il passaggio?
«Ho vissuto senza filtri l'infanzia negli Stati Uniti, per me era normale vedere due uomini o due donne baciarsi, un bambino neanche se lo chiede se non viene indotto. Poi il trapianto dalla metropoli ad una città di provincia, uno scatto incredibile. Che non c’erano più gli “spazi giganti” l’ho scritto nel mio primo tema, mia nonna lo può confermare. C'è una dimensione diversa anche nei rapporti, nelle relazioni».
Anche nella mentalità?
«Anche. Ma io sono un’ottimista, credo basti una persona per fare la rivoluzione».
Sei una di quelle?
«Penso di sì. Poi sono sempre in fase sperimentale anch'io, sempre a cercare di migliorarmi».
Ti assomiglia tua figlia?
«Regina assomiglia a se stessa, ha preso le cose migliori di tutti».
Quindi anche quel codice artistico che per voi è di famiglia...
«Secondo la signora Carla Fracci e il signor Franco Miseria...sì! L'hanno vista e mi hanno detto: “sei rovinata, questa è un'altra artista”».
Glielo auguri?
«Le auguro molto di più, poi lei farà quel che la renderà felice. Sono andata a scuola dalle suore in Calabria, il profilo che ho ricevuto vorrei replicarlo con lei. Vorrei avesse un'educazione anche sentimentale, spirituale e che le si insegnasse non tanto la competizione quanto la solidarietà».
Ce l'hai un palcoscenico del cuore?
«È quello dove mi posso esprimere. L’ultimo (All Togheter Now) mi ha finalmente permesso di lavorare con Roberto Cenci, un altro calabrese d'origine (da parte di mamma), un grande professionista con la passionalità del Sud».
Nel prossimo cassetto cosa c'è?
«Impegno sociale, l’istituzione di un fondo per chi nel mondo delle arti (cultura e comunicazione) è in temporanea difficoltà, contro precarietà e impossibilità di lavoro continuativo che sono un vero stato di emergenza per le categorie».
Un reddito di cittadinanza artistico?
«Un sostegno one shot. Mia nonna mi chiama “ufficio di collocamento”, io voglio essere esempio per mia figlia e restituire qualcosa di quello che ho ricevuto».
Torneresti in Calabria?
«Sempre. È lì il mio affetto, famiglia e amici. Ho mantenuto lì la mia residenza, la mia casa è lì».
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