Arte ne ha respirata sempre in famiglia e Giovanni Longo, artista di origine locrese, classe ‘85, ha appena ottenuto un importante riconoscimento aggiudicandosi il premio internazionale “Yicca” 2021/22 con la sua installazione “Short Story (Calf)”. Abbiamo provato a raccogliere le sue visioni ed emozioni. Chi ha influito di più per lo sviluppo della tua vena artistica? «Mio padre lasciò il lavoro in ferrovia per coltivare la scultura e la ceramica. Già da quella scelta si predispose in famiglia una particolare attenzione per l’intelligenza visiva. Ma di aiuto fu anche il lavoro di mia madre, maestra elementare, che aggiunse la possibilità di conoscere e capire il mondo attraverso la curiosità e la sperimentazione». Parlaci del tuo percorso formativo, quali sono i momenti salienti? «Ho proseguito gli studi sul territorio, al Liceo Artistico di Siderno, una bella scuola diversa dalle altre, i laboratori e il cambio delle aule facevano dell’ambiente scolastico un piccolo ateneo. Successivamente ho frequentato l’Accademia delle Belle Arti a Reggio Calabria, studiando scultura. Le prime mostre le ho fatte a 19 anni e da lì ho iniziato un percorso di ricerca che in Calabria ha avuto il culmine con una grande mostra istituzionale al Marca, Museo delle Arti di Catanzaro, curata da Marco Meneguzzo e dalla Fondazione Rocco Guglielmo». Cosa ti ha portato alla svolta passando da Locri a Roma? «Dopo la mostra al Marca, ho avuto modo di viaggiare. Sono stato a Parigi diversi mesi, nell’ambito della Jce (Jeune Création Européenne), ed è stato un passaggio segnante, ma ho avuto modo di partecipare a piccole residenze a Nizza e Shangai, infine mi sono stabilito a Roma per lavorare come art director e nella Capitale ho avuto modo di relazionarmi con un ambiente culturale vivace; inoltre da qui posso viaggiare in maniera più semplice verso altre città italiane ed europee, movimentando le opere in modo più efficiente». Come l’arte può aiutarci a riscrivere la nostra esistenza dopo l’ondata pandemica? «Dirò una cosa impopolare, ma a mio parere l’arte non ha subito l’onda pandemica, secondo me ne è stata immune perché l’arte in primis non è solo attività economica ma la si esprime a prescindere da tutto. È chiaro che non vivere i contesti o avere basse risorse ha potuto inficiare il senso di quello che si faceva, ma la ricerca artistica dà modo di progettare e pensare sempre attraverso un’attività incessante. Io vedo l’arte come un enorme ingranaggio in movimento, ognuno può essere una grande o piccola ruota dentata, ma aldilà del ruolo siamo tutti fondamentali e dipendenti l’uno dall’altro e questo, oltre che all’arte, è comune in tante cose della nostra vita». Parliamo del prestigioso premio “Yicca”: come hai ideato l’opera vincente e cosa può significare per te questa affermazione? «Per il mio lavoro recupero materiali lignei lungo le foci dei fiumi, specie in Calabria dove la presenza di fiumare, secche d’estate e piene d’inverno, favorisce questo processo di lavorazione naturale dove la corrente sradica e modella arbusti, trascinandoli in spiaggia e seccandoli al sole. Quello che faccio è classificare tutte queste forme e colori per creare degli scheletri, strutture anatomiche più o meno evocate. Ciascuno di questi legni diviene parte funzionale di un insieme composto da circa 200 elementi. L’esito finale sono opere all’apparenza fragili e delicate, allegorie dell’esistenza in diretto contatto con i concetti di memoria e identità ma anche di destino o puro caso. Per il premio “Yicca” ho presentato l’opera “Short Story”. Lo scheletro di un vitello che, in un’unica posa, racconta la sua breve esistenza, dalla nascita alla macellazione. Dal nastro azzurro che cinge i suoi arti posteriori al tavolo sacrificale sul quale è adagiato. Il concorso è su base internazionale e prevede una mostra in una grande città europea, quest’anno alla Fondazione Luciana Matalon di Milano, ma è anche un network di relazione tra professionisti e curatori che in oltre dieci anni ha visto l’affermazione di importanti artisti emergenti del panorama contemporaneo. Vincere è stata una sorpresa. Ero consapevole della qualità dell’opera, ma a un premio del genere mi ritenevo già soddisfatto di essere rientrato nei 18 finalisti. Questa vittoria è un altro piccolo mattoncino in un lungo percorso di crescita che porterò avanti con maggiore forza e convinzione». Cosa può fare il mondo dell’arte per una Calabria ricchissima di patrimonio culturale? «Bisogna aumentare l’attenzione. Ci sono in Calabria realtà bellissime che funzionano bene malgrado le difficoltà, altre hanno un approccio più “provinciale” che porta a non lavorare al pieno delle potenzialità. È un discorso complicato, in un contesto talvolta refrattario a questo tema. Noi abbiamo un monumento enorme che è il Mar Mediterraneo, ma c’è anche una storia bellissima da valorizzare e raccontare, bisogna trovare il giusto modo implementando tecnologie e idee nuove per creare visioni del territorio diverse e proiettate verso il futuro. In questo l’arte contemporanea può certamente essere d’ispirazione».