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Ardore, l’avvocato che produce zafferano

Una coltivazione particolare che si sta affacciando nei contesti della grande ristorazione

«Il ritorno alla terra, non è una sorta di retrocessione sociale, anzi è una leva di riscatto per la nostra regione, che ha tantissimo da dare specialmente in questo ambito». È uno dei pensieri finali del dialogo avuto con Bruno Ferrò, ardorese poco più che trentacinquenne di grande duttilità, essendo avvocato, musicista dalle note dure del rock sino a quelle morbide e suadenti del cantautorato, ed agricoltore capace di produrre zafferano di eccellenza.
La storia di Bruno non è diversa da quella di molti figli di Calabria, dopo il liceo la partenza per il nord a studiare, Giurisprudenza alla Bocconi di Milano, la pratica ed un forte richiamo: «Ho finito gli studi a 23 anni – ci dice Bruno – ho iniziato da subito il percorso di specializzazione e poi lavorativo vivendo sia a Milano che a Roma, ma i ritmi cittadini ad un certo punto non erano più nelle mie corde». Da qui parte una pagina entusiasmante della vita di Bruno Ferrò: «Nel 2016, tramite un mio amico, sono venuto a conoscenza dell’esperienza di due professionisti che lasciatisi alle spalle gli studi professionali e le carriere, hanno iniziato a coltivare lo zafferano nell’astigiano. La scintilla è scattata da un lato perché ho potuto osservare come questa coppia vivesse in simbiosi con la natura con dei ritmi e una qualità del tempo affascinanti, dall’altro ho approfondito quelle che erano le potenzialità a 360 gradi di questo tipo di coltivazione».
Se l’attrazione, dunque, è scoccata subito, la messa in pratica del progetto di svolta non è stata immediata: «Dopo aver pianificato puntigliosamente come avviare questo tipo di produzione individuando i giusti terreni, quanta manodopera servisse e quanti bulbi da piantare, nel 2018 è scoccata l’ora X. Il terreno è stato identificato a Bombile, una frazione ricadente nel comune di Ardore. La prima piantagione contava 4500 bulbi. Volevo testare questa avventura dove un ruolo fondamentale è stato ed è quello mio padre il quale, benché medico, ha una grande cultura contadina tramandata dai miei nonni. Il numero di bulbi ristretto era inoltre dovuto al fatto che il ciclo di produzione viaggia in totale manualità con la raccolta che si effettua in novembre, possibilmente nelle ore che precedono l’alba».

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