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Gaetano Saffioti e la lotta alla 'ndrangheta. "Da 20 anni sono un uomo libero" INTERVISTA

25 gennaio 2002-25 gennaio 2022. I vent'anni da uomo libero dell'imprenditore Gaetano Saffioti che fece arrestare 48 persone legate alla 'ndrangheta. Il racconto di questi 20 anni ed un messaggio di speranza

Era il 25 gennaio 2002 quando Gaetano Saffioti, imprenditore di Palmi che opera nel settore del calcestruzzo, decide di dire basta e denunciare. La sua è una questione di dignità in primo luogo. Non sopporta più l'ombra della 'ndrangheta che lo soffoca da anni e decide di parlare.

Dalla sua bocca escono fatti, nomi, azioni concrete. Dalla sua denuncia scaturisce l’operazione "Tallone d’Achille" che porta all’arresto di 48 tra boss, gregari e persone a vario titolo legate alle più potenti e pericolose 'ndrine della provincia di Reggio Calabria: dai Bellocco, ai Piromalli, dai Mazzagatti a Romeo.

All'epoca le parole del magistrato Roberto Pennisi lo colpiscono al cuore. Pennisi, impegnato, nella lotta alle mafie rilascia una dichiarazione forte: "Non è facile combattere la ’Ndrangheta, servirebbe più collaborazione da parte della gente, della parte sana del tessuto economico. Ma in Calabria gli imprenditori sono tutti codardi". Quelle parole colpiscono al cuore di Saffioti che vuole fortemente incontrare il giudice Pennisi e davanti agli occhi di quest'ultimo Saffioti ribatte con forza: "Dottore, volevo dirle che io sono un imprenditore, e non sono un codardo". Da lì nasce la storia dell'imprenditore che, esattamente 20 anni fa, inizia a parlare e lo fa mettendo sul tavolo registrazioni, filmati, audio, prove concrete. Insomma, Saffioti è un fiume in piena ed inchioda i suoi aguzzini.

A distanza di 20 anni, siamo andati a trovarlo nella "sua" Palmi, nella sua azienda da dove ancora oggi dirige le operazioni. Lui c'è nonostante tutto, ci sono gli uomini della sua scorta, c'è il suo sigaro e la sua barba folta ad attenderci per raccontarci ancora meglio la sua storia e cosa è cambiato in questi 20 anni.

25 gennaio 2022 - 25 gennaio 2022: vent'anni dopo

"La mia vita è cambiata in meglio, come mi aspettavo. Sono contentissimo e felicissimo, ho riacquistato due amiche che avevo perduto, la dignità e la libertà. Sono le cose primarie per ogni essere umano, per me questi 20 anni sono volati, un terzo della mia vita, il periodo migliore dal punto di vista delle libertà in maniera più assoluta".

Il diritto di essere un uomo libero

"A 40 anni nel pieno delle attività della vita e dell'attività lavorativa se uno decide di fare questa scelta bisognerebbe chiedersi il perché. Se decide di immolare sull'altare del sacrificio tutti i suoi sogni, tutte le sue aspettative perché ha dei principi nobili scaturiti dagli insegnamenti di mio padre. La libertà non è in ciò che si fa, ma in come si fa. Purtroppo la mentalità che vigeva in Calabria ci porta ad essere tolleranti, a convivere con questo cancro. E allora se uno si guarda allo specchio e dice ma io sono una persona per bene solo perché non rubo e non spaccio droga e che comunque alimento per paura, per varie ragioni il sistema del pizzo. Consapevole che con la sola repressione non se ne esce, bisogna che ogni cittadino faccia la propria parte. Io più che un dovere, ho esercitato il diritto di essere un uomo libero perché questa storia durava da tantissimi anni".

Le minacce della 'ndrangheta quando ancora era un bambino delle elementari...

"Ero un bambino, in una colonia estiva a 3 km da Palmi e mio padre venne a prendermi, con la scusa di volermi vedere, dopo aver subito minacce, dopo che la 'ndrangheta gli disse che sarebbero venuti a toccare me che ero suo figlio, figlio di un frantoiano anch'egli minacciato dai mafiosi. E' un qualcosa di imperdonabile per queste persone. Mio padre poi morì per un tumore e portandosi dietro questo segreto mia madre mi confessò che me lo voleva dire, ma non avevo l'età per comprendere anche perché la parola 'ndrangheta nemmeno si sussurrava. Quando la pronunciò la prima volta chiedemmo cosa fosse, se fosse una donna, una società... perché era completamente sconosciuta. Io avevo portato rancore a mio padre, all'epoca mi raccontò una balla e io ne soffrì molto e questo mi ha fatto molto male".

L'incontro con il magistrato Pennisi: "Io non sono un codardo"

"Dobbiamo contestualizzare il periodo. Era il momento delle faide: non c'erano inchieste, non c'erano associazioni, non c'erano giornalisti d'inchiesta. All'epoca quando volevo denunciare a fin di bene qualcuno ti consigliava di non fare nomi. Non bisogna fare di tutta l'erba un fascio, ma chiaramente tu pensi che non ci sia più via d'uscita. Cercavo di seguire se ci fosse un magistrato, qualche forza dell'ordine per poter parlare. Io volevo ampliare l'azienda, ma la 'ndrangheta ti strozza, perché creare benessere non è quello che vogliono. Loro vogliono che ci sia sottosviluppo affinché il loro ruolo venga privilegiato dai cittadini. In quel periodo seguivo Falcone e pregavo che fosse mandato via da Palermo per venire a Reggio. Tutti mi dicevano che erano il passato, il presente ed il futuro. C'era Pennisi, questo magistrato che a mo' di provocazione disse che gli imprenditori erano dei codardi, che erano dei collusi. Quella fu la goccia che fece traboccare il vaso: andai da lui e gli dissi che io non sono un codardo. Però voi o non sapete o non fate finta di non sapere. La 'ndrangheta è come la gramigna, ricresce sempre. Io misi un punto fermo: dobbiamo dare un messaggio diverso, la vita continua e dobbiamo dare un esempio concreto. Si può restare nel territorio per farlo crescere con lo Stato presente e voi dovete farmi restare. La vittoria più grande non è tanto la denuncia, ma continuare a fare una vita normale, quello che facevi prima. Ho dimostrato con i fatti che non solo si può fare, ma si deve fare. Chi ha il potere di scegliere, deve scegliere da che parte stare, condividere le idee, l'esempio. Se ci fossero più imprenditori, io non sarei sotto scorta".

Imprenditori poco coraggiosi?

"Non si tratta di una questione di coraggio o meno. Oggi la paura l'imprenditore non ha paura di essere ucciso, ma la certezza di essere emarginato. Io a quei tempi ho perso tutto: amicizie, lavoro, fornitori, banche. Qui neanche le galline e gli uccellini cinguettavano, ma da testardo calabrese ho dimostrato che si può fare. Adesso è cambiato tanto rispetto a tanti anni fa".

La rinascita... il lavoro all'estero e gli stadi in Qatar per il Mondiale 2022

Il suo calcestruzzo, i suoi materiali, le sue idee, sono state premiate negli Emirati Arabi soprattutto, ma non solo. Dall'aeroporto "Charles De Gaulle" di Parigi, al grande Parco Giochi di Dubai, fino ad arrivare alla costruzione di tre grandi stadi, di tre impianti che ospiteranno le partite del Mondiale di calcio 2022 in Qatar. "Dal punto di vista lavorativo è una gratificazione poter lavorare nei grandi mercati esteri. Ma è anche un'umiliazione perché un mio partner arabo mi disse: tu fai crescere il nostro business, il nostro paese, ma non farai mai crescere il tuo paese. E questa è una cosa che fa male: ma più che fare anche delle provocazioni proponendomi di lavorare anche gratuitamente per rompere quel muro per poter dimostrare anche chi fa questa scelta ha le porte chiuse. Tu sei nessuno mischiato con niente, escluso da tutto e da tutti. Qui la 'ndrangheta ha un ruolo indiretto perchè se ognuno scegliesse di ragionare con la propria testa e vedere più avanti nel futuro da dare ai nostri figli e nipoti, le cose cambierebbero. La Calabria è soffocata da queste antiche e primitive consuetudini. Ancora si avanti con l'idea del favore, dell'amico, della spintarella... Ma se invece ci si mette impegno e passione si può emergere e per me lavorare a grandi livelli in mercati molto più competitivi di quello italiano è per me la soddisfazione più grande".

Un messaggio di libertà e speranza: "Bisogna scegliere se essere locomotiva o vagone"

"Scegliete di viverla la vita - conclude Saffioti - vivere la vita non vuol dire far passare la giornata, ma cercare davvero di essere uomini liberi. Possiamo scegliere fin da adesso come morire: se da uomini liberi, o da schiavi e servi. Perché noi siamo tutti di passaggio, ma potremo lasciare tanto a chi verrà dopo di noi. Dipende da noi: nella vita gli uomini si dividono in due categorie, locomotive e vagoni. Se scegli di essere locomotiva sarà dura, ma riuscirai ad emergere. Calabresi dipende da voi, ci preoccupiamo più della nostra reputazione che della nostra coscienza. Io penso che la vita è un sacrificio, il lavoro è duro, il successo è anch'esso difficile, ma credere che la cosa più difficile per un uomo sia vivere con il rimpianto".

Il ruolo dello Stato e delle istituzioni

"Ci sono uomini impavidi, magistrati e forze dell'ordine che lottano. Ma con la sola repressione non se ne esce. Il sistema giudiziario ha troppe falle, le pene devono essere certe e non ci devono essere deterrenti. Ma se ognuno di noi scegliesse di comportarsi in modo diverso neanche le forze dell'ordine servirebbero. Un esempio banale: lo spaccio di droga più che colpa dei colombiani che la coltivano e delle mafie che la spacciano, è degli utenti che ne fanno uso. Siamo noi cittadini che alimentiamo il sistema, la 'ndrangheta esiste perché le consentiamo di vivere con le nostre debolezze perché ormai si va dallo 'ndranghetista anche solo per farsi ricoverare. Bisogna entrare nella mentalità che non bisogna chiedere un favore per avere riconosciuto un diritto. Noi viviamo in una terra bellissima infinita. Un mio partner estero mi ha detto: siete seduti su una miniera d'oro e non la sapete utilizzare. Le opportunità ci sono, bisogna solo cambiare mentalità".

 

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