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Reggio, nessun complotto
E' l'ora di cambiare

Il governatore Giuseppe Scopelliti

di Antonio Siracusano

 

C'è un preciso dovere di responsabilità e coscienza in queste ore di naufragio della città di Reggio Calabria. Demetrio Arena, sindaco per nome e per conto del presidente della Regione, non è l’innesto tossico che ha fatto sfiorire la rigogliosa pianta reggina. Le radici sono ben più profonde, come hanno evidenziato i commissari nella loro relazione. Ed è bene ricordarlo, anche a costo di scadere nella più banale delle ovvietà: il Comune di Reggio è stato politicamente forgiato da Giuseppe Scopelliti. La roccaforte dello Stretto ha spalancato gli orizzonti alla galoppante carriera dell’attuale presidente della Regione Calabria, forte di popolarità e consensi costruiti in dieci anni di monopolio amministrativo. In questo solco è stata tracciata una <<linea di continuità>> interrotta da un deragliamento forse inevitabile. Le inchieste hanno acceso troppe spie che impongono una riflessione autocritica a viso aperto,  evitando di rifugiarsi nelle nenie del complotto, dell’incredibile  congiura rossa in tempi di governo sostenuto anche dal Pdl. Né giova fare leva sull’orgoglio identitario reggino, usando l’appartenenza come feticcio al quale aggrapparsi per scacciare i mercanti dal tempio. Sarebbe pericoloso agitare slogan ed esasperare il vittimismo. 
Questa è un’altra storia. E’ una storia che racconta un sistema di convivenza organica,  a Reggio come a Rosarno, a Gioia Tauro come a Locri, fondata su codici culturali di uno “stato parallelo”, con i suoi modelli di pensiero e le sue parole d’ordine. 
Il riscatto di Reggio può trovare nelle macerie i semi di un nuovo principio, uscendo dalla logica manichea del conflitto politico. In gioco ci sono ben altri valori da riscrivere nel vocabolario della comunità reggina e calabrese. 
Al posto di Scopelliti convocheremmo i cittadini in piazza, da Reggio a Cosenza. E ci assumeremmo la nostra quota di responsabilità in un’ottica rigeneratrice, dismettendo i moralismi di parata, il populismo dei mestieranti. La politica  si è gonfiata in una bolla, dove la rinnovata sanità - ad esempio - deve fare i conti con visite mediche fissate un anno dopo la prenotazione. Un abuso di promesse cui corrisponde un crollo verticale di credibilità. La divaricazione ha spianato un’autostrada, percorsa a velocità sostenuta da un fenomeno politico (Grillo) che riflette il livello di saturazione raggiunto dai cittadini. A quest’ansia di rinnovamento, magmatica e furente, bisogna rispondere con un’inversione di rotta in grado di sganciare la Calabria dalle sue incrostazioni.     
Al posto di Scopelliti non ci attarderemmo nelle chiamate di correità, non si tratta di dare la caccia al verme solitario che ha rovinato il raccolto. C’è una politica calabrese che da sempre  non conosce colori e bandiere di fronte all’affarismo, ai rapporti opachi e ai condizionamenti mafiosi. Un grumo trasversale che affonda le sue radici in una destrutturazione culturale ed economica ed estrae linfa dalla cosiddetta “zona grigia”. 
Ma c’è anche una Calabria che si vuole riscattare, che studia e lavora per non impantanarsi nei vizi dei padri. Una Calabria onesta che ha bisogno di lingua dritta e non biforcuta, di progetti concreti e non di fumo da discoteca, di rigore etico e non di ipoteche criminali. E’ da qui che occorre ripartire, sacrificando rapporti discutibili e consensi  confezionati, aprendo una nuova stagione nel segno di una rottura radicale con le logiche che fin qui hanno avvizzito speranza e fiducia. A questa Calabria inclinata su un fianco non si può parlare da una scialuppa. Bisogna uscire dalla palude e tornare in mare aperto. Ma per risalire a bordo ci vuole schiena dritta e capacità etica. Altrimenti ci resterà solo il “pennacchio”.

C'è un preciso dovere di responsabilità e coscienza in queste ore di naufragio della città di Reggio Calabria. Demetrio Arena, sindaco per nome e per conto del presidente della Regione, non è l’innesto tossico che ha fatto sfiorire la rigogliosa pianta reggina. Le radici sono ben più profonde, come hanno evidenziato i commissari nella loro relazione. Ed è bene ricordarlo, anche a costo di scadere nella più banale delle ovvietà: il Comune di Reggio è stato politicamente forgiato da Giuseppe Scopelliti. La roccaforte dello Stretto ha spalancato gli orizzonti alla galoppante carriera dell’attuale presidente della Regione Calabria, forte di popolarità e consensi costruiti in dieci anni di monopolio amministrativo. 

 

In questo solco è stata tracciata una <<linea di continuità>> interrotta da un deragliamento forse inevitabile. Le inchieste hanno acceso troppe spie che impongono una riflessione autocritica a viso aperto,  evitando di rifugiarsi nelle nenie del complotto, dell’incredibile  congiura rossa in tempi di governo sostenuto anche dal Pdl. Né giova fare leva sull’orgoglio identitario reggino, usando l’appartenenza come feticcio al quale aggrapparsi per scacciare i mercanti dal tempio. Sarebbe pericoloso agitare slogan ed esasperare il vittimismo. Questa è un’altra storia. 

E’ una storia che racconta un sistema di convivenza organica,  a Reggio come a Rosarno, a Gioia Tauro come a Locri, fondata su codici culturali di uno “stato parallelo”, con i suoi modelli di pensiero e le sue parole d’ordine. Il riscatto di Reggio può trovare nelle macerie i semi di un nuovo principio, uscendo dalla logica manichea del conflitto politico. In gioco ci sono ben altri valori da riscrivere nel vocabolario della comunità reggina e calabrese. Al posto di Scopelliti convocheremmo i cittadini in piazza, da Reggio a Cosenza. E ci assumeremmo la nostra quota di responsabilità in un’ottica rigeneratrice, dismettendo i moralismi di parata, il populismo dei mestieranti.

 La politica  si è gonfiata in una bolla, dove la rinnovata sanità - ad esempio - deve fare i conti con visite mediche fissate un anno dopo la prenotazione. Un abuso di promesse cui corrisponde un crollo verticale di credibilità. La divaricazione ha spianato un’autostrada, percorsa a velocità sostenuta da un fenomeno politico (Grillo) che riflette il livello di saturazione raggiunto dai cittadini. A quest’ansia di rinnovamento, magmatica e furente, bisogna rispondere con un’inversione di rotta in grado di sganciare la Calabria dalle sue incrostazioni.    

 Al posto di Scopelliti non ci attarderemmo nelle chiamate di correità, non si tratta di dare la caccia al verme solitario che ha rovinato il raccolto. C’è una politica calabrese che da sempre  non conosce colori e bandiere di fronte all’affarismo, ai rapporti opachi e ai condizionamenti mafiosi. Un grumo trasversale che affonda le sue radici in una destrutturazione culturale ed economica ed estrae linfa dalla cosiddetta “zona grigia”. Ma c’è anche una Calabria che si vuole riscattare, che studia e lavora per non impantanarsi nei vizi dei padri. Una Calabria onesta che ha bisogno di lingua dritta e non biforcuta, di progetti concreti e non di fumo da discoteca, di rigore etico e non di ipoteche criminali. 

E’ da qui che occorre ripartire, sacrificando rapporti discutibili e consensi  confezionati, aprendo una nuova stagione nel segno di una rottura radicale con le logiche che fin qui hanno avvizzito speranza e fiducia. A questa Calabria inclinata su un fianco non si può parlare da una scialuppa. Bisogna uscire dalla palude e tornare in mare aperto. Ma per risalire a bordo ci vuole schiena dritta e capacità etica. Altrimenti ci resterà solo il “pennacchio”.

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