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Cortese alla latitanza
volontaria

L'interno dell'aula bunker di Reggio durante la deposizione di un pentito

Non si è trattato di un periodo di latitanza, in senso strettamente tecnico-giuridico, ma poco più di un mese di allontanamento volontario. I giorni di attesa trascorsi da Maurizio Cortese, imputato nel processo “Epilogo” che si sta celebrando davanti al Tribunale collegiale (presidente Silvana Grasso), dal momento in cui è stata emessa la sentenza di condanna per una rissa culminata nell’uccisione di un nomade (il 17 giugno 1998) e la mattina in cui è stato materialmente agganciato dai carabinieri (il 22 luglio successivo) sono stati al centro della testimonianza resa ieri in Tribunale dal maresciallo Giovanni Ambrogio, uno dei militari del Nucleo investigativo dei carabinieri di Reggio Calabria che erano sulle sue tracce. Approfondimento dibattimentale collegato alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia, Marco Marino, che aveva illustrato al Tribunale «di aver agevolato la latitanza di Maurizio Cortese trascorsa per alcuni giorni nei locali dell’oratorio della parrocchia di Aretina e poi a Terreti».

 

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