Era certo di farla franca, Luciano Lo Giudice. Il fratello rampante della dinastia mafiosa dei Lo Giudice, la mente finanziaria della ’ndrina del rione Santa Caterina, in carcere per l’inchiesta al clan di famiglia, anche dietro le sbarre si atteggiava da furbo e spavaldo, convinto di fregare i controlli della polizia penitenziaria. Usava i colloqui con i suoi difensori, l’avvocato Lorenzo Gatto e soprattutto l’avvocato Giovanni Pellicanò, per dare dritte a familiari e picciotti e relazionarsi con il mondo esterno. Sempre per curare i propri affari.
Le chiacchierate “off-limits” tra Luciano Lo Giudice e l’avvocato Giovanni Pellicanò sono state, invece, riprese, filmate ed intercettate. Parole e gesti, anche il labiale quando «usavano parlare a bassissima voce per non farsi sentire». Gli atteggiamenti, la gestualità e i contenuti dei colloqui nelle carceri di Reggio Calabria (ed in parte a Tolmezzo, provincia di Udine) sono stati illustrati ieri in Tribunale (presidente Silvia Capone) dal vicequestore aggiunto della Polizia, Francesco Giordano, teste dell’accusa nel processo a capi e gregari della presunta cosca Lo Giudice.
I “pizzini” Sono stati esattamente 13 i colloqui in carcere tra il detenuto Luciano Lo Giudice e il difensore Giovanni Pellicanò. Tutti puntualmente intercettati dalla Squadra Mobile che aveva piazzato videocamere e cimici nella saletta colloqui
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