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I mafiosi che fanno
i confidenti e
i tossici nei clan

L'interno dell'aula bunker di Reggio durante la deposizione di un pentito

«Non conosco Maurizio Cortese, non ho mai sentito parlare di lui nemmeno in carcere»: è toccato al collaboratore di giustizia Paolo Iannò, personaggio «di rango» della ’ndrangheta per aver ricoperto il ruolo di capo “locale” della frazione Gallico, tirare fuori dagli organici delle cosche uno dei presunti vertici delle seconde leve del clan Serraino.
Paolo Iannò non conosce Maurizio Cortese, nonostante il lungo e prestigioso passato da mafioso di punta del cartello “Condello-Serraino-Imerti”. Anche se, come evidenziato da lui stesso ieri sul banco dei testimoni del processo “Epilogo” che si sta celebrando davanti al Tribunale collegiale presieduto da Silvana Grasso, si ferma all’inizio del 2000 «quando sono stato arrestato dopo un periodo di latitanza, e circa due anni prima dell’inizio della collaborazione con la giustizia avviata nel 2002».
Citato dalla difesa di Maurizio Cortese, l’avvocato Giacomo Iaria, il pentito ha provato a spiegare le dinamiche della criminalità organizzata riguardo capi e gregari della nuova generazione della cosca Serraino. Paolo Iannò ha contribuito poco, ammettendo di non conoscere nemmeno Vittorio Fregona e Consolato Villani, entrambi collaboratori di giustizia e tra i grandi accusatori degli imputati del processo “Epilogo”.

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