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Paolo Iannò tra gli oppositori alla pax mafiosa

L'interno dell'aula bunker di Reggio durante la deposizione di un pentito

Si era opposto alla “pax” mafiosa Paolo Iannò, oggi collaboratore di giustizia ma fino al 2002 capo “locale” delle ’ndrangheta di Gallico e braccio destro di Pasquale Condello “Il supremo”. Di mettere la parola fine alla guerra tra “Destefaniani” e “Condelliani” non ne voleva proprio sapere. Anzi, ha espresso un fermo no di fronte «alla scelta possibilista di Pasquale Condello».
Paolo Iannò ha testimoniato ieri, di presenza, nel processo “Meta” che si sta celebrando davanti al Tribunale collegiale presieduto da Silvana Grasso. Sulle trattative tra i due cartelli di ’ndrangheta, a cavallo tra il 1990 e il 1991, ha rimarcato: «Io era tra quelli che non accettava la pace. Avevano distrutto tutto, anche nella mia famiglia. Ero del parere che “o loro o noi”. Ed infatti alla riunione di Sinopoli non ci sono voluto andare. Mi informò Pasquale Condello e gli risposi: “Se la veda lei per il locale di Gallico”». Due autentici “mammasantissima” gli artefici della “pax”: Domenico Alvaro per i “Condelliani” e ’Ntoni Nirta per i “Destefaniani”: «Don Mico Alvaro venne più volte a Reggio per parlare con Pasquale Condello. Trovarono l’accordo e ci mandarono “l’imbasciata” di fermarci». Nessun ruolo, invece, da Polsi, il tempio della ’ndrangheta provinciale: «Ogni mandamento aveva i suoi problemi, nella Locride soprattutto c’erano tante faide aperte».

 

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