È morto ieri sera in ospedale a Reggio, dove era ricoverato da qualche giorno per una grave sofferenza al cuore, Rocco Musolino il “re della montagna”. Originario di Santo Stefano in Aspromonte aveva 86 anni ed era considerato uno dei personaggi di primo piano della “vecchia ’ndrangheta”, con un ruolo di rilievo nelle decisioni delle cosche della provincia di Reggio. Appena lo scorso sabato 30 marzo, vigilia di Pasqua, era finito al centro delle cronache perchè destinatario di un maxi-sequestro beni per un valore di oltre 150 milioni di euro. Carabinieri e Dia gli avevano infatti notificato un decreto, emesso dal Tribunale di Reggio Calabria - Sezione Misure di Prevenzione, su richiesta del procuratore aggiunto Michele Prestipino e del pm Stefano Musolino, che di fatto gli hanno strappato dal suo possesso un “te - soro” fatto di imprese, conti correnti, beni mobili e immobili. Le indagini a carico del “re della montagna”, che si sono concretizzate nel sequestro beni, furono avviate dai Carabinieri nel 2008, a seguito del tentato omicidio dello stesso Rocco Musolino, noto imprenditore nel settore dei legnami, e miravano ad individuare il contesto nell’ambito del quale era maturato l’evento. Quelle indagini, che si sono avvalse di intercettazioni telefoniche e ambientali, hanno evidenziato che Musolino sia stato più volte interessato per la risoluzione di disaccordi e problemi sorti a Santo Stefano in Aspromonte e a Reggio Calabria, in ragione del prestigio criminale di cui godeva. Secondo la ricostruzione della Procura Rocco Musolino aveva esercitato la propria attività sfruttando i legami con la ’ndrangheta, che gli hanno consentito di operare e agire, fino a raggiungere una posizione di sostanziale monopolio, con modalità di sopraffazione e intimidazione tipiche dell’impresa mafiosa, nonché sfruttando le cointeressenze in tutti gli altri settori del mondo politico, economico e istituzionale. Dai processi uscì però sempre indenne. Sul suo conto si sono espressi numerosi collaboratori di giustizia, che lo indicano come personaggio di estrema importanza nell’ambito della cosca Serraino, ove avrebbe esplicato funzioni di vertice: «…il suo grado - ha riferito il collaboratore di giustizia Barreca - all’interno della ‘ndranghe - ta è elevatissimo, più di “vangelo”, e questo grado di mafia cumula con quello di massone…». Il collaboratore di giustizia Antonino Rodà, inoltre, ha riferito che Rocco Musolino apparteneva alla cosca Serraino - riscontrando in ciò le già note dichiarazioni di Margherita Di Giovine - ma con un ruolo autonomo di Capo Società di Gambarie, riscontrando in ciò le già note dichiarazioni dei collaboratori di giustizia Lauro e Barreca che lo definivano un capo. Giacomo Ubaldo Lauro ha riferito circa l’intervento di Musolino per la liberazione di un sequestrato, unitamente a Serraino, a Gioffrè e a Nirta e, infine, il collaboratore di giustizia Antonino Zavettieri ha dichiarato che a S. Stefano d’Aspromonte esisteva un autonomo locale di ‘ndrangheta capeggiato da Rocco Musolino.
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