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“Epilogo”, imputati
chiedono spostamento
di sede

Gli imputati del processo “Epilogo” si arroccano sulla loro posizione: non ritengono «sereno il clima del dibattimento» e non sarebbe stato assicurato il diritto della difesa. Due validi argomenti sui quali puntare per il trasferimento della sede processuale. Non più davanti al Tribunale collegiale di Reggio Calabria presieduto da Silvana Grasso come fatto fino ad oggi, alla vigilia della requisitoria del pubblico ministero dopo l’escussione di un’infinità di testimoni. Per queste ragioni sarà formalizzata questa mattina l’istanza di remissione del processo. A farsi promotrice della drastica presa di posizione è stata la difesa di Maurizio Cortese, l’imputato-chiave del processo “Epilogo” perchè ritenuto il leader delle giovani leve della cosca di ’ndrangheta Serraino che opera tra Reggio, nei rioni collinari di San Sperato e Cataforio, e Cardeto. Gli avvocati Giacomo Iaria e Luca Cianferoni, che avevano già anticipato la propria strategia nel corso della precedente udienza, si presenteranno in Tribunale con una dettagliata ed articolata istanza. Che sarà successivamente valutata dalla Corte di Cassazione. L’obiettivo degli imputati è spostare il processo in altra sede, lontana dalla Calabria: una posizione sostenuta a viva voce da Maurizio Cortese, nel corso di ripetute dichiarazioni spontanee, che dovrebbe essere sposata dagli altri cinque imputati in regime di detenzione carceraria: Alessandro Serraino, Demetrio Serraino, Fabio Giardiniere, Giovanni Siclari e Francesco Tomasello. La richiesta è così motivata: «Per la libera determinazione delle persone che partecipano al processo, nonché la sicurezza del medesimo e la serenità di giudizio in rapporto a motivi di legittimo sospetto ». Sospetti ed accuse, il nodo cruciale della vicenda, che hanno travolto la “new generation” del clan Serraino. Proprio gli imputati del processo “Epilogo” sono stati accusati, seppure velatamente, di aver fatto esplodere la bomba all’ingresso della Procura generale all’alba del 3 gennaio 2010.Ma questo manipolo di giovani con gli attentati ai magistrati non c’entrano affatto: a sconfessare qualsiasi ipotesi investigativa è stata la dirompente collaborazione con la giustizia di Nino Lo Giudice. Quando il pentito meglio noto come “Il nano” si autoaccusò della bomba in Procura generale è crollato l’impianto accusatorio che, sempre velatamente, aveva indicato tra i probabili autori la gang di San Sperato. Eppure su questi giovanotti, che ruoterebbero intorno alla dinastia mafiosa dei Serraino, si sono consumati fiumi di inchiostro per tratteggiarli come una della più potenti organizzazioni mafiose. Gli stessi imputati di “Epilogo” hanno urlato al complotto, hanno sbandierato la loro convinzione di «un depistaggio istituzionale», citando un centinaio di testimoni eccellenti (non ammessi) per capire davanti a un Tribunale se qualcuno, anche tra le Istituzioni, avesse deliberatamente addossato sospetti e accuse sul gruppo capeggiato da Maurizio Cortese.  Gli avvocati Giacomo Iaria e Luca Cianferoni, nell’istanza di remissione del processo “Epilo - go”, annotano, con particolare evidenza, una relazione di servizio dei carabinieri datata 29 gennaio 2010, appena 26 giorni dopo l’inquietante bomba esplosa all’ingresso della Procura generale: «Riassume le fonti di prova e gli elementi indiziari raccolti a seguito dell’evento delittuoso dello scorso 3 gennaio 2010, relativo all’esplosione di un ordigno presso la sede della Procura Generale. Le acquisizioni di questo comando hanno consentito di inquadrare l’avvenimento in un contesto di criminalità mafiosa emerso nell’ambito delle indagini esperite nel procedimento penale e che vede protagonisti personaggi appartenenti al sodalizio criminale denominato “Cosca Serraino”, operante nei quartieri di San Sperato e di Rione Modena di Reggio Calabria e nel limitrofo comune di Cardeto». Una pista rivelatasi clamorosamente infondata dando forza alla presa di posizione della difesa di Maurizio Cortese: «Costituisce un dato oggettivo la stretta connessione fra l’evento dinamitardo e l’imputazione associativa, posto che il contenuto probatorio del delitto associativo ipotizzato era correlato (quanto alle finalità perseguite e allo specifico riferimento al possesso di uno scooter del tipo impiegato nell’attentato, oltre che ai mezzi di indagine utilizzati- fonti confidenziali) alla pretesa responsabilità della “co - sca Serraino” e dell’odierno richiedente nella commissione dell’attentato del 3.1.2010». Ed inoltre: «In questo quadro, caratterizzato secondo gli Inquirenti dall’inscindibilità del contenuto probatorio della imputazione associativa e del contenuto probatorio dell’attentato alla Procura Generale (quanto alla responsabilità di Maurizio Cortese e della sua pretesa cosca di riferimento, oppure, al contrario, quanto al condizionamento di cui egli era stato vittima), si è assistito, invece, allo “isolamento”, in Reggio, del processo “Epilogo”, e del problema della scaturigine della indagine: la consegna è quella del silenzio. Un P.M. certamente onesto sta cercando di indagare, ma la realtà evidente è quella di non volere in alcun modo chiarezza su quanto costituisce la genesi dell’attentato 3/1/010, che poi è ciò che condiziona il processo “Epilogo” medesimo».

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