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Dubbi sulla provenienza
del memoriale Lo Giudice

''Ci sono dei dubbi'' sulla provenienza del nuovo memoriale dell'ex pentito Antonino Lo Giudice. Lo ha detto all'ANSA il procuratore di Reggio Calabria Federico Cafiero De Raho. ''Il fatto che ci sia un video - ha detto - di per se non è dimostrativo della genuinità di ciò che dice.

In Calabria ci sono state macchinazioni talvolta orribili. E' tutto da approfondire. Si tratta di capire se la provenienza del materiale è sua o se dietro c'è una macchinazione per scardinare le accuse mosse in precedenza. La 'ndrangheta - ha aggiunto il pm - ha una forza e ramificazioni notevoli rispetto alle quali occorre operare con grande fermezza e rigore. L'inquinamento ambientale è il vero problema''. Lo Giudice, latitante dal 5 giugno scorso, dopo avere abbandonato il rifugio protetto in cui si trovava, ha inviato ieri nuovi memoriali e video alle redazioni di due testate giornalistiche e ad un avvocato ribadendo quanto aveva già sostenuto in un altro memoriale inviato all'indomani della scomparsa con la ritrattazione di tutte le accuse mosse nel periodo della sua collaborazione.

Lo Giudice, tra l'altro si era autoaccusato di essere l'ideatore delle bombe fatte esplodere nel 2010 contro la Procura generale di Reggio Calabria e contro l'abitazione del procuratore generale Salvatore Di Landro oltre all'intimidazione all'allora procuratore della Repubblica Giuseppe Pignatone, con il ritrovamento di un bazooka ad alcune centinaia di metri dal palazzo della Dda, chiamando in causa anche il fratello Luciano ed altre due persone. Nel nuovo memoriale, Antonino Lo Giudice ribadisce di avere mosso certe accuse perché ''manovrato'' dalla Dda di Reggio Calabria e fa i nomi di Pignatone, adesso a Roma, dell'aggiunto Michele Prestipino, del pm Beatrice Ronchi e dell'ex capo della mobile Renato Cortese, che oggi dirige la squadra mobile di Roma. Lo Giudice chiede anche scusa all'ex procuratore aggiunto della Dna Alberto Cisterna per averlo accusato falsamente e fa il nome di un altro magistrato della Dna Gianfranco Donadio, sostenendo che questi gli avrebbe chiesto di accusare falsamente Berlusconi e Dell'Utri, oltre ad altre persone a lui sconosciute. Inoltre dice di avere saputo da un altro collaboratore, Cosimo Virgiglio, nel periodo in cui erano detenuti nel carcere romano di Rebibbia, dell'esistenza di una massoneria divisa in tre tronconi di cui avrebbero fatto parte esponenti della 'ndrangheta, politici, magistrati e professionisti reggini oltre a esponenti dei servizi segreti deviati.

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