Incastrato da un’intercettazione nella quale si parlava di lui. Era il 18 luglio 2008 quando i carabinieri hanno captato una conversazione tra Nicola Gattuso e Michele Oppedisano, il nipote di don Mico Oppedisano il capo “Crimine”. Proprio in quella conversazione è Oppedisano a chiedere a Gattuso chi fosse il “padrino” a Reggio. Una risposta netta e fatale: «È Giovanni Alampi».
È nata così l’accusa maturata nell’inchiesta “Crimine” nei confronti di Giovanni Alampi, 65 anni, della frazione collinare Trunca: sul suo conto grava il reato, e una condanna in primo grado ad otto anni di reclusione, di associazione per delinquere di stampo mafioso. Una condanna che adesso Giovanni Alampi continuerà a scontare fuori dal carcere. La Corte d’Appello ha infatti sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con i domiciliari. A suo favore l’accertata incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario.
Incastrato da un’intercettazione nella quale si parlava di lui. Era il 18 luglio 2008 quando i carabinieri hanno captato una conversazione tra Nicola Gattuso e Michele Oppedisano, il nipote di don Mico Oppedisano il capo “Crimine”. Proprio in quella conversazione è Oppedisano a chiedere a Gattuso chi fosse il “padrino” a Reggio. Una risposta netta e fatale: «È Giovanni Alampi». È nata così l’accusa maturata nell’inchiesta “Crimine” nei confronti di Giovanni Alampi, 65 anni, della frazione collinare Trunca: sul suo conto grava il reato, e una condanna in primo grado ad otto anni di reclusione, di associazione per delinquere di stampo mafioso. Una condanna che adesso Giovanni Alampi continuerà a scontare fuori dal carcere. La Corte d’Appello ha infatti sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con i domiciliari. A suo favore l’accertata incompatibilità delle condizioni di salute con il regime carcerario.
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