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I funerali di Mary, il vuoto incolmabile di una madre

 «Che dirò alla figlia che mi chiede continuamente: che vita è senza la mamma?». È racchiuso tutto nelle strazianti parole urlate ieri dalla madre della vittima a conclusione del rito funebre di Mary Cirillo, il dramma in cui, da lunedì scorso è sprofondata un’intera famiglia. Un urlo carico di disperazione, trattenuto dignitosamente durante la celebrazione eucaristica presieduta da monsignor Francesco Oliva, vescovo della diocesi di Locri- Gerace, nella chiesa parrocchiale S. Giuseppe Lavoratore, gremita di persone con gli occhi lucidi e i volti sconvolti. Amici di Mary, autorità politiche e militari, ma anche tanta gente comune desiderosa di porgere l’ultimo abbraccio affettuoso a una giovane donna conosciuta in paese per la sua integrità, la sua mitezza, la sua devozione per la famiglia e per i quattro figli. E ora, dopo la sua tragica morte, anche per lo straordinario coraggio avuto nel difendere la propria dignità di donna, stanca di subire violenze dal marito, un uomo geloso e ossessivo, violento. Una donna per la quale si è fermata un’intera comunità che, in segno di lutto, ha chiuso i negozi, ha esposto alle finestre e ai balconi un nastrino bianco e che, appena ha saputo dell’arrivo in anticipo della bara in chiesa, dove era già stata depositata una corona di fiori inviata dalla presidente della Camera, Laura Boldrini, e un’altra donata dalla ministro Maria Carmela Lanzetta, si è precipitata fin dalla tarda mattinata per sostare in preghiera per depositare un fiore, piangere per la vita di una giovane donna la cui parabola umana è stata spezzata violentemente dalla mano omicida dell’uomo che aveva sposato oltre dieci anni fa e a cui aveva giurato amore, ignorando che quel matrimonio avvenuto in giovanissima età, avrebbe rappresentato l’anticamera dell’inferno. Un inferno durato anni, vissuto prima nel silenzio, fino a quando, nelle settimane scorse, Mary, aveva deciso di tagliare il “cordone ombelicale” da quel rapporto basato sulla paura e chiedere il divorzio. Una scelta pagata a caro prezzo. Per il marito, Giuseppe Pilato, sabato scorso, dopo sei giorni di fuga, si sono aperte le porte del carcere, ma per la famiglia di Mary si è aperto un baratro di dolore. «Quello che ora chiediamo è soltanto che venga fatta giustizia», ha dichiarato il fratello Emanuele, a nome della famiglia. Monsignor Francesco Oliva, durante l’omelia, ha dichiarato: «Abbiamo bisogno di silenzio. Il nome di questo piccolo paese fatto di gente normale è risuonato dappertutto accompagnato da un senso di orrore e di inquietudine. Le parole sono come travolte dal disagio di avere perduto il significato che sembrava ovvio, il significato che tiene in piedi il mondo. Dopo quello che è successo, che cosa significano parole come “marito”, “moglie”, “figlio”, “amore?”. Una morte che, perché ora non sia vana, deve, per il prelato aprire «la nostra riflessione alla sacralità della vita», ma anche far «sorgere in noi il disprezzo per la violenza sulle donne, che sono le nostre madri. E su ogni forma di violenza» . Una violenza che spesso si tende mistificare come una disgrazia, quasi per non guardare in faccia la realtà. Una realtà in cui la storia di Mary è l’ultimo degli anelli che si aggiunge alla catena che avvolge realtà ignorate, sommerse, dove certe forme ataviche di sfruttamento morticano tate donne: «Una tragedia senza fine», per la senatrice Doris Lo Moro, presente col nastrino bianco al funerale assieme alla ministro Maria Carmela Lanzetta e alle parlamentari calabresi del Pd. «Oggi è capitato a Monasterace, ieri a Roma, ma se non capiamo che la violenza sulle donne riguarda tutti, è inutile invocare nuove leggi. Non cambia nulla».

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