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Lo Stato demolisce dopo 11 anni la casa confiscata al clan Pesce

 Lo Stato abbatte un immobile di proprietà della famiglia di ’ndrangheta dei Pesce di Rosarno. Un immobile ubicato in pieno centro cittadino. Ieri, alle prime luci dell’alba, gli uomini della Polizia, dei Carabinieri e della Guardia di Finanza, accompagnati da agenti e comandante della Polizia Municipale e da dipendenti comunali, si sono presentati in via Maria Zita e hanno iniziato le operazioni di verifica di un immobile sgomberato dagli occupanti nel 2011 e che dal 2003 risulta incamerato al patrimonio del Comune di Rosarno ma mai effettivamente sfruttato. Questo perché per quasi otto anni quella immensa area fabbricata, immersa nel verde e costruita in una zona sottoposta a vincolo archeologico, era diventata la dimora della famiglia Pesce. Tanto che, quando il Comune, con l’attuale amministrazione guidata dal sindaco Elisabetta Tripodi, decise di procedere con la demolizione del fabbricato, la signora Giuseppa Bonarrigo, madre di Rocco Pesce, colui che mandò dal carcere di Milano la lettera giudicata minatoria al primo cittadino medmeo (Pesce poi venne assolto pienamente dalle accuse), aveva deciso di inscenare una clamorosa protesta incatenandosi davanti alla sede del Municipio. Quella di ieri può definirsi una giornata importante per il ripristino della legalità. Le operazioni di demolizione dell’immobile mettono fine a un’odissea giudiziaria infinita e da tanti intoppi (e anche omissioni) amministrativi. Tra tutte, bisogna ricordare che l’ordinanza con la quale era stato giudicato abusivo il fabbricato e quindi da sgomberare era del 2003. Un ricorso al Tribunale di sorveglianza contro lo sgombero, rigettato, un nuovo ricorso al Tar, sempre rigettato. Nel mezzo anche un lungo silenzio delle istituzioni che non sono mai riuscite a riprendersi quell’immobile che di fatto era già loro. Fin quando della vicenda, nella primavera scorsa, non si è interessata la Prefettura di Reggio Calabria dopo che le tre gare bandite dall’amministrazione comunale sono andate deserte. Nessuno ha mai voluto buttare giù quell’immobile dei Pesce e per questo il Palazzo del Governo ha deciso di prendere in mano la situazione e ha interessato una serie di ditte di fiducia. Si era pensato, anche, all’interessamento dell’esercito. Ma sembra che il genio militare abbia posto una serie di vincoli non confacenti con l’esigenza di liberare l’area in tempi veloci (dopo 11 anni di scontri e ritardi). Alla fine, dopo una trattativa privata, un’impresa della Piana di Gioia Tauro ha accettato di demolire la parte di manufatto abusiva e riconsegnare l’area dove dovrebbero essere effettuati degli scavi archeologici. Ieri mattina c’erano sul posto i primi mezzi della ditta e tutta l’area è stata a lungo presidiata dalle forze dell’ordine. Le operazioni dovrebbero andare avanti per alcuni giorni dal momento che l’attività non è semplice. C'è una scuola proprio a ridosso del sito e la zona è centralissima. Ieri c’era molta discrezione tra le forze dell’ordine. In cima a tutto c’è l’ordine pubblico. Ma il significato è importante: lo Stato si riprende dopo anni un’area diventata emblema dell’illegalità. Anche se ormai libera, quell’area doveva tornare alla collettività di Rosarno e della Piana. A breve lo diventerà. Completamente sgombra. Quello di Rosarno non sembra essere il primo e unico caso in provincia che a breve sarà interessato dai lavori di demolizione. La scorsa settimana nel corso della riunione del Comitato per l’ordine e la sicurezza pubblica sono stati decisi una serie di provvedimenti di questo tipo indirizzati su edifici confiscati ma sempre occupati, spesso da soggetti contigui con la criminalità organizzata. Si parla di circa 40 immobili tra la città e la provincia di Reggio che dovranno essere entro breve abbattuti e le aree consegnate alle locali amministrazioni.

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