Una fitta e attivissima rete di pusher in grado di muoversi, con tutte le cautele del caso, su un’ampia fascia di territorio. I «venditori di morte» (così sono stati definiti nella conferenza stampa di ieri), operavano a Melito Porto Salvo e nei centri limitrofi, ma si spingevano anche fino a Reggio Calabria e Villa San Giovanni. Il mercato, rappresentato da acquirenti abituali ma non solo, era coperto 24 su 24, con l’offerta di dosi di eroina e cocaina in quantità. Fiumi di droga venivano regolarmente movimentati. Le cifre fornite fanno riferimento a circa mezzo chilo di sostanza spacciata al giorno, per un totale di oltre 12 mila euro incassati. Rapidi, sospettosi, diffidenti, a volte circospetti, gli spacciatori facevano continuamente la spola, tra i luoghi del rifornimento e quelli in cui, invece, avvenivano le cessioni. Le indagini, sofisticate e allo stesso tempo meticolose, portate avanti dagli agenti del commissariato di Condofuri Marina e della Squadra mobile di Reggio Calabria, con il coordinamento della Dda provinciale, hanno consentito di accertare l’e s i s t e nza di un organismo criminale collaudato. Al vertice dello stesso, secondo l’accusa, c’era il “q u adrunvirato” composto da Rocco Mandalari, Anarildo Canaj, Caterina Ierardo e Leonardo Marino. Erano loro, a giudizio degli inquirenti, a fungere da soggetto unitario; erano loro che riuscivano a piazzare grossi quantitativi di sostanza stupefacente. La droga necessaria veniva comprata da fidati fornitori di Africo. Una volta acquisite le “partite” venivano messe al sicuro, in attesa di essere prelevate per l’immissione graduale sul mercato. Il compito di nascondere la “roba”, secondo le risultanze dell’i nchiesta “Km 24”, era di stretta pertinenza di Mandalari e da Canaj. Solitamente venivano privilegiati un paio di luoghi, ritenuti assolutamente sicuri, entrambi nel territorio di Melito Porto Salvo: il primo nei pressi del supermercato Lidl; il secondo, invece, a ridosso del sottopasso ferroviario di via Piemonte. Dalla “cassaforte”, la droga veniva ri-prelevata al momento della vendita. Per la cessione delle dosi l’organizzazione, per come emerso dall’i n c h i esta, si avvaleva di un rete di puscher. A loro toccava il compito di stare a contatto con i clienti. E nel farlo utilizzavano un linguaggio convenzionale. Al telefono erano vietati i riferimenti diretti alla polverina bianca, era tassativamente sconsigliato l’utilizzo di una terminologia esplicita. Si parlava in codice, per depistare eventuali ascoltatori indesiderati. Tutti artifizi inutili. L’i ntuito dei poliziotti ha mandato all’aria progetti e piani del sodalizio criminale, facendo schiudere le porte del carcere davanti ai presunti affiliati.
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