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Narcotraffico sull’asse Calabria-Costa Rica

 Dal Costarica e Cuba lavoravano per i calabresi. Per la ’ndrangheta. La Dda e la Squadra Mobile di Reggio, in collaborazione con Sco e Interpol, hanno squarciato il velo su un’altra, fino a ieri insospettabile, rotta del narcotraffico internazionale. Che porta dritti al centro-America, al Costa Rica e a Cuba, i paesi di origine delle sette persone arrestate ieri. Cinque costaricensi e due cubani: tutti sul libro paga della ‘ndrangheta. I destinatari dei provvedimenti sono ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, aggravata dalla transnazionalità. Il loro compito era quello di rifornire le cosche reggine (la holding legata alle ’ndrine della Locride e di Sinopoli) di carichi giganteschi di cocaina. Spedizioni da nemmeno cinquanta chilogrammi o da 3 tonnellate abbandonati. Il progetto criminale prevedeva la produzione della droga in Colombia, ma anche in Perù o Bolivia, la “longa manus” di Gregorio Gigliotti, il ristoratore calabrese che aveva fatto fortuna a New York, già incastrato nella retata “Columbus”, la consegna in Europa, attraverso i porti di Rottertam, Anversa o Gioia Tauro. Un business infinito nelle mani della ’ndrangheta calabrese. La retata di ieri – nome in codice “Columbus 2” (la seconda tranche della precedente inchiesta che lo scorso 7 maggio aveva portato in galera 13 persone) - non ha numeri da capogiro per persone coinvolte, né nomi blasonati per militanza mafiosa. Sono i contenuti che potrebbero segnare un passaggio di portata storica nell’opera di contrasto al narcotraffico internazionale sull’asse Calabria-nord e centro America. 

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