Certe notizie levano il fiato, ti bloccano le gambe, spengono gli occhi, uccidono i sorrisi, ti chinano il capo; anche il tempo si fa cupo. È immane la tragedia che all’alba di ieri si è abbattuta sull’intera comunità gioiese.
Che dire di quattro vite recise nel fiore della gioventù? Silenzio nei bar, silenzio nei supermercati, silenzio tra le vie del centro, silenzio al Comune. Un silenzio che strideva con le urla strazianti di parenti e amici che singolarmente o a gruppi si sono riversati all’obitorio dell’ospedale di Vibo. Pure il traffico quotidiano all’uscita delle scuole si è snodato in modo composto. Non un clacson, non una voce, sono ammutoliti anche i bambini. A qualcuno di loro la maestra ha detto in classe che questa è una delle pagine più nere che la città ricordi. Ovunque, volti segnati dalla smorfia più amara, ognuno si riconosce in quei poveri genitori. Che qualcosa non andava lo si era capito già dalle primissime ore del mattino quando i telefoni di amici e conoscenti hanno cominciato a squillare per capire come mai quei letti erano ancora vuoti. Lo resteranno per sempre. A metà mattinata il tam tam scorreva su “Whatsapp”. Si sono fatti i primi cognomi: Canerossi e Calderazzo. E giungeva, purtroppo, la notizia della loro identificazione. «C’è anche il figlio di Carrozza», si ipotizzava. «E Speranza, quello della pizzeria», si aggiungeva. Un bollettino di guerra che purtroppo ha trovato conferma di lì a poco. Su Facebook iniziavano a comparire le foto degli sfortunati ragazzi. Poi le tremende immagini della Fiat 500, un groviglio di lamiere, e di quei corpi sull’asfalto coperti da lenzuola bianche. Di Marzio avevamo scritto qualche anno fa come un studente meritorio del Tecnico “Severi”, eletto rappresentante d’Istituto con un suffragio talmente alto da immaginare per lui traguardi importanti anche in politica. Si profilavano, infatti, le Comunali. Molti in città lo avevamo visto crescere. Alla fine degli anni ’90, infatti, il padre gestiva una rosticceria – ritrovo di un’intera generazione – di fronte piazza dell’Incontro. Correndo e giocando spensierato con altri adolescenti di fine millennio, era diventato una sorta di mascotte. Gli amici lo ricordano felice quando, insieme con la fidanzata Diana, portava il fratellino Loris in spiaggia. Amava stare in compagnia e alle feste era unico nel far divertire gli altri. Giuseppe invece voleva diventare come il suo idolo, “Neymar”, fuoriclasse del Barcellona e, intanto, mentre sognava, dava una mano al padre in pizzeria giù alla Marina, il quartiere più colpito da questa sventura. Fortunato era la persona più buona e dolce del mondo: rispettoso, pieno di vita, umile, scherzoso. Francesco era figlio unico. Ma insieme erano incredibili, fantastici. Quattro “gemelli” siamesi. Lo stesso sarà in cielo. Il sindaco di Gioia, Giuseppe Pedà ha sottolineato l’importanza di stringersi attorno alle famiglie: «È un dolore che stravolge, l’uomo non può nulla se non conservare il culto della memoria», si legge in un comunicato ufficiale. Sentimenti di costernazione sono stati manifestati anche dal presidente della Provincia Raffa e dal consigliere regionale, Sebi Romeo. In serata, all’interno della chiesa “Maria SS di Portosalvo” si è svolta una commossa e partecipata veglia. Fuori una pioggia a dirotto, mentre Gioia piangeva i suoi figli.
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