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Klaus Davi, lettera aperta
a Giovanni Tegano

Nuovamente aggredita la troupe di Klaus Davi

Caro Giovanni,
per iniziare non rinuncio a chiamarTi "caro" anche se
l'aggettivo mi pesa non poco dopo aver visto e meditato a lungo
sul Tuo profilo Facebook.

(https://www.facebook.com/giovanni.tegano2)

Inoltre hai 20 anni e sei troppo giovane perché io possa darTi del lei.

Anche se Ti chiami Giovanni Tegano, e anche se immagino che il Tuo nome
sia un omaggio rivolto ad uno degli uomini. che secondo numerose
inchieste è tra i più sanguinari della storia della nostra Repubblica,
voglio provare a rivolgermi a Te come si farebbe con un ragazzo
qualunque.

Non sono un pubblico ministero, non sono uno sbirro – anche se quando
vengo ad Archi, nel Tuo quartiere, continuate a bollarmi cosi: sono un
cronista che ama raccontare le cose ed averci a che fare.

In queste sere di agosto, girovagando su internet alla ricerca di
notizie, mi sono imbattuto nel Tuo account personale. Ti presenti in
modo scarno, diretto e disarmante.

Giovanni Tegano: "passeggio la mattina per essere libero il
pomeriggio, presso MANTENUTO" e aggiungi "precedentemente
nulla facente presso Aspetta! Ma io non ho un lavoro", single di
Reggio Calabria.

E le foto che posti, quelle che sono accessibili a tutti, confermano
tanta pigrizia mentale, fisica ed esistenziale. Un sequel di feste,
bevute, pose in spiaggia e motociclette. L'unico impegno concreto
che si evince dal Tuo album è la militanza nell'Archi Calcio.

Il Tuo profilo, almeno secondo l'impressione che ne ho ricavato,
non è solo un'emanazione del divertimento di un
"mantenuto" (ricorda che sei Tu a definirTi così). Mi hanno
colpito molti dei Tuoi messaggi, che parlano da soli, purtroppo.

"Voglio andare all'inferno e fare impazzire anche il
diavolo" e "i facci senza culuri o su sbirri o su traditurii
- le persone che impallidiscono o sono poliziotti o sono
traditori" e altro come "Non sei degno neanche di guardarmi
negli occhi CUNTRASTU (termine usato dagli ndranghetisti per indicare
chi non appartiene alla malavita e non ne è neppure attiguo) e
"non capisco quelle persone che gli piace fare la bella vita e
poi quando le cose vanno male se la cantano. Persone senza
dignità" (il tutto condito da una foto di Kim Rossi Stewart che
interpreta il noto máitre â penser, Renato Vallanzasca)

Non so se questi post rappresentino un gioco o un saggio, in erba, di
cultura ndranghentistica, non voglio giudicare a priori. Mi si stringe
il cuore, però quando leggo – amplificate da centinaia di "mi
piace" – queste frasi che campeggiano nel Tuo profilo.

Non sono un cronista di mafia né un esperto di ndrangheta. Ma tanta
baldanzosità e spavalderia mi hanno lasciato di stucco. Ancora di più
il consenso che raccolgono le Tue riflessioni a Reggio, fra i coetanei
ma anche tra i numerosi professionisti che ormai bazzicano i
"vostri" territori... parliamo di calciatori e allenatori
professionisti, operatori turistici, manager della distribuzione,
gestori di bar, insomma anche un po' di quella Reggio bene che, a
quanto pare, non trova nulla da ridire.

Caro Giovanni, non è come dici. Gli sbirri non sono traditori e nemmeno
noi giornalisti lo siamo. I traditori, forse, li hai fra i Tuoi amici
di Archi, fra quelli reali e fra quelli digitali (oltre 2700) che Ti
acclamano e Ti fanno sentire un piccolo boss.

I traditori, forse, sono quei Tuoi parenti che hanno consegnato alla
morte persone, innocenti e non, anche sangue del Tuo sangue, nel nome
di una cultura che ha distrutto la Tua terra e ha tolto ogni
prospettiva a ragazzi come Te, educati alla falsa ideologia della
ndrangheta.

Secondo quanto fai intendere con la frase "non capisco quelle
persone che gli piace fare la bella vita e poi quando le cose vanno
male se la cantano" i collaboratori sarebbero ingrati poiché da
mafiosi (si presuppone) facevano la bella vita. Ma quale bella vita,
Giovanni? Vogliamo discuterne? Parliamo di Tuo zio, Giovanni: ha 77
anni, 17 dei quali passati in latitanza, 8 e mezzo in carcere e una
condanna all'ergastolo.

E anche se è un passaggio doloroso non posso fare a meno di ricordati
che secondo alcune testimonianze potrebbe essere, tra la altre cose,
il mandante dell'assassinio del suo stesso nipote - sangue del
suo sangue e che finirà i suoi giorni in galera.

Con lui decine di altri, la lista è lunghissima.

Conosci sicuramente la storia di Giuseppe De Stefano. Vi lega Orazio,
suo zio. Ha 47 anni, è entrato in carcere a 39 anni con una condanna a
75 anni complessivi, dopo aver passato 5 anni in latitanza e un altro
anno e mezzo in carcere prima della sua cattura definitiva. E la
chiami bella vita?!

A un certo punto del Tuo diario elettronico scrivi “mia mamma non
voleva che frequentavo quel gruppo ma non sapeva che in quel gruppo
comandavo io" (con tanto di icone di bombe, coltelli e pistole)

Comandare cosa? Qualcosa che non Ti porterà da nessuna parte perché il
così detto rispetto che Ti hanno insegnato, se praticato, Ti porterà
inevitabilmente verso un baratro, senza ritorno. E’ veramente questo
che vuoi, riflettici su?

Sono spesso dalle Tue parti e più volte ho incrociato i Tuoi amici e
familiari - anche Tuo padre, del quale scrivi "volevo vestirmi da
super eroe ma gli abiti di mio padre mi vanno larghi". Non posso
dire nulla contro di loro. Li ho voluti conoscere, guardarli in
faccia, capire. Come vorrei fare con Te.

Caro Giovanni,

il Tuo nome è importante, nella bibbia Giovanni è il prescelto da Dio
per indicare al mondo il Messia. Il Tuo nome significa proprio questo:
"colui che Dio ha favorito" e se sei cattolico sai quanto
Gesù abbia fatto affidamento su Giovanni Apostolo, per tramandare i
suoi insegnamenti e al quale ha voluto talmente bene da affidargli la
propria madre.

Non macchiare il Tuo nome con scelte sbagliate, raccogliendo così
un'eredità di sangue e infamia, tradimenti e omicidi. Proprio Tu
dovresti capire, visto che Tu stesso nel diario racconti la Tua
devozione per la Madonna di Polsi.

Puoi uscire da questo tunnel, puoi aspirare ad un'altra vita
lontano dalle complicità, dall'orrore e dall'ipocrisia degli
ambienti mafiosi. Puoi farlo, ne sono sicuro.

Klaus Davi

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