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Canalone inquinato, la Coopmar si chiama fuori

Canalone inquinato, la Coopmar si chiama fuori

Si difende con le unghie e con i denti Oreste Tarantino, il presidente di Coopmar, la società ai cui capannoni (dati in concessione dall’Authority) giovedì i militari del Noe Carabinieri di Reggio e della Guardia Costiera di Gioia hanno apposto i sigilli per deposito incontrollato e smaltimento illecito di rifiuti.

L’imprenditore gioiese è stato denunciato in stato di libertà per reati ambientali e la notizia del sequestro è stata subito accostata a quella degli scarichi abusivi dentro il canalone di scolo per le acque bianche di San Ferdinando, una pozza nera piena di liquidi tossici comparabili a idrocarburi in attesa di bonifica che, però, si è già riversata in mare una prima volta il 7 agosto scorso per le abbondanti piogge.

Tarantino con una lunga e dura nota di replica iniziando col precisare che la Coopmar si occupa solo di rizzaggio container, «Tale attività – spiega – non comporta il bisogno di mezzi e attrezzature degne di un cantiere per la costruzione di una centrale nucleare, ma si concretizzano nell’uso di due muletti, un pulmino nove posti e di una piccola Fiat punto. Come fa un’azienda del genere a produrre migliaia di litri di qualunque cosa per poi sversarla in un canalone? Inoltre Coopmar non è un’impresa di manutenzione conto terzi.

«L’episodio segnalato circa la presenza di una piccola officina nella sfera dell’attività della società è riconduce soltanto a piccoli lavori di manutenzione delle nostre attrezzature. La Coopmar non si occupa di trasporti: ovvero, sino al 2010 ci occupavamo di bunkeraggio di acqua potabile alle navi, e le due grosse cisterne in acciaio inox servivano a questo scopo. Tali mezzi sono in disuso, non vengono utilizzati da oltre 6 anni e già da tempo li abbiamo messi in vendita per uso non stradale».

Infine, Tarantino affronta «l’antipaticissima congettura circa il rinvenimento di un tombino utilizzato “quasi sicuramente” per lo smaltimento di olii esausti da parte della nostra società. Innanzitutto - osserva - non si tratta di un tombino costruito dalla Coopmar ma si tratta di una ragnatela di aperture, centinaia, ricadenti all’interno del porto e costruiti per il deflusso dall’acqua piovana. Detti tombini non sono collegati al canalone di San Ferdinando, a cui riconduce la verifica intrapresa degli organismi investigativi, ma sono, come tutte le infrastrutture che ricadono nella competenza dell’intera area portuale e aree industriali adiacenti, direttamente collegati all’impianto di depurazione di Gioia Tauro. Inoltre – conclude – nessuno dei tombini, si trova all’interno dell’area concessa alla Coopmar, ma all’esterno e di pubblico passaggio».

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Il caso dei rifiuti

Sul ritrovamento di alcuni rifiuti classificati come pericolosi, la Coopmar evidenzia che «si tratta di alcune marmitte smontate da mezzi che, un mese fa, sono stati distrutti da un incendio divampato con le erbacce nell’area incolta adiacente. Il fatto che in Italia lo smaltimento di un tubo di scappamento e di una pasticca freni, debba avere la stessa classificazione di pericolosità di una stecca di uranio arricchito esausto di un sottomarino nucleare osserva ancora Tarantino - può indurre a scambiare lucciole per lanterne, mettendo in crisi una cooperativa di lavoratori che sta facendo i salti mortali per sopravvivere. I rifiuti non pericolosi afferiscono, invece, a due bidoni pieni di materiale ferroso, attrezzature rotte, cavi di acciaio e rifiuti di metalli» tutti non «abbandonati e/o dispersi».

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