A tradire la banda «nell’orbita della ’ndrine di Reggio» che taglieggiava ristoratori e commercianti è stato uno degli indagati che di fronte al blitz di Squadra Mobile e Carabinieri ha provato a rifugiarsi nel deposito incollato alla propria residenza, in via Caserta Crocevia nel quartiere Sangiovannello, dove il gruppo di fuoco nascondeva un arsenale capace di equipaggiare una truppa d’assalto. Nel sottotetto di una stanzetta trasformata a ricovero di attrezzi e ferraglia che non avrebbe trovato spazio nemmeno al “mercatino delle pulci” era stato sistemato un arsenale. Fucili e pistole, mitragliatrici e kalashnikov, una nutrita scorta di cartucce; e silenziatori, passamontagna, caschi da motociclisti e divise da guardia giurata. Tutto il necessario per consumare rapine, danneggiamenti a scopo estorsivo ed ogni malefatta criminale che possa servire a un clan della ’ndrangheta per imporre l’odiata legge del pizzo. Pagare per non subire raid malandrini.
Un gruppo - quattro persone sottoposte a fermo dalla Dda di Reggio per rapina, estorsione, porto e detenzione illegale di armi, lesioni personali, danneggiamento mediante incendio, tutti delitti aggravati dall’aver favorito la ’ndrangheta - che da quasi due anni continuavano a stritolare il proprietario di una pizzeria (a Reggio in zona “Istituto Industriale”), pretendendo prima 1.500 euro al mese e poi 500 euro a settimana per «aiutare le famiglie dei carcerati», ed alzando il tiro nella settimana precedente il Primo Maggio arrivando al punto di incendiare l’ingresso secondario del locale mentre all’interno famiglie e giovani stavano mangiando la pizza e sorseggiando una birra.
Da ieri Gianfranco Musarella (39 anni), e i fratelli Antonino, Giovanni e Alessandro Marra (37, 34 e 30 anni) sono in galera, incastrati dall’indagine “Lampo” condotta in sinergia dai poliziotti della Squadra Mobile e dai Carabinieri del nucleo operativo della Compagnia di Reggio. La “Squadra Stato” a Reggio ha ancora una volta fatto centro. Un’altra costola della ’ndrangheta è stata strappata, un’altra ventata di legalità e sicurezza è stata assicurata ai reggini che non vogliono più piegarsi alle logiche arroganti di boss e picciotti.
Un’indagine che gli inquirenti hanno ribattezzato operazione “Lampo”. E sono proprio il capo della Squadra Mobile, Francesco Rattà, e il comandante la Compagnia Carabinieri di Reggio, maggiore Mariano Giordano, a spiegare ai cronisti la tempistica dell’intervento. Bisognava mettere freno all’escalation criminale consumata tra il 27 e il 30 aprile, scattata all’indomani del licenziamento della cassiera imposta dai mafiosi, appiccando prima un rogo per avvertire che «l’avrebbero pagata caro prezzo» e poi crivellando con una dozzina di pistolettate l’autovettura del ristoratore parcheggiata sotto casa. È la notte tra sabato 29 aprile e domenica 30 aprile, quando con le stesse modalità d’azione un uomo incappucciato con fucile in braccio ha sparato all’impazzata all’interno della gelateria “Sottozero” sulla via Marina a Reggio. Due episodi che comunque gli inquirenti non collegano, ma tengono nella dovuta considerazione: «Stiamo lavorando anche su quel fronte. Attendiamo gli approfondimenti tecnici sulle armi sequestrate».
Facile ipotizzare che tra i pezzi della “Santabarbara” scoperta nell’immobile di Sangiovannello «connesso all’abitazione di Gianfranco Musarella» - che è costato l’arresto in flagranza di reato oltre allo stesso Musarella anche per Giovanni Marra e Domenica Pamela Barillà (classe 1994) perchè ritenuti a conoscenza diretta della custodia delle armi - ci fossero “armi sporche”, pistole e fucili già utilizzati in precedenti episodi criminali. Una pista investigativa che soltanto il responso dei tecnici di Carabinieri e Polizia potrà rafforzare.
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