Dall’ufficio del procuratore aggiunto Gerardo Dominijanni, dal sesto piano del Cedir, si vede il panorama di Reggio. «Una città complessa», sospira il magistrato. E poi spiega: «Qui non si capisce mai bene chi hai di fronte. Non c’è una frattura netta tra la borghesia e la ’ndrangheta. Non c’è bianco e nero, è tutto sfumato nel grigio. A Catanzaro, senza andare troppo lontano, la realtà ha dei contorni più netti».
– E non c’è neppure chi bacia la mano al boss in manette.
«Non c’è dubbio che il gesto in sè vada assolutamente condannato però non credo che quel biaciamano sia stato valutato nella giusta complessità del contesto. Il sensazionalismo, spesso, fa perdere la giusta prospettiva».
– Cosa vuol dire?
«Voglio dire che il baciamano è avvenuto a San Luca. Un luogo dove, fino a qualche anno fa, se si arrestava un boss scendeva in piazza mezzo paese, questa volta, invece, erano pochissime persone. Un segnale importante. Significa che lo Stato non fa solo l’indispensabile repressione ma si sta adoperando anche per offrire una speranza di cambiamento e di riscatto a chi non è ’ndranghetista. Il campo di calcio che abbiamo inaugurato come Anm, in questo senso, è stato un segno importante».
– I cittadini si aspettano risposte importanti dallo Stato anche attraverso le sentenze dei giudici. Qui c’è una sete arretrata di giustizia.
«C’è poco da discutere i cittadini che reclamano giustizia hanno ragione. Io, anche come segretario distrettuale dell’Anm, posso confermare che i magistrati a Reggio lavorano con grande impegno e con la passione di chi crede nella funzione che svolge. C’è un impegno assoluto, di più con queste forze non si può fare».
– Però bisogna fare i conti con “l’imbuto” dell’ufficio gip.
«Questo è un dato di fatto, ma posso garantire che all’ufficio gip tutti lavorano oltre le loro possibilità. La verità è che soffriamo un problema di organico sottodimensionato. Per smaltire l’arretrato e le richieste che sono pendenti servirebbe un task force di almeno 10 magistrati applicati lì per sei mesi. Solo così si può accelerare e quindi dare ai cittadini le risposte che si aspettano».
– Un sogno irrealizzabile?
«No. Una possibile soluzione che è già stata attuata a Milano in occasione dell’Expo. Se è stata fatta in Lombardia a maggior ragione dovrebbe essere attuata qui, nel regno della ’ndrangheta».
– Anche perché i procedimenti della Dda contro la ’ndrangheta assorbono parecchie risorse dei gip.
«Ma a Reggio non si muore di sola ’ndrangheta. La Procura ordinaria lavora moltissimo, però i nostri procedimenti che, ricordo, riguardano anche i reati della Pubblica Amministrazione rischiano tutti di finire in prescrizione. Prendiamo il caso di scuola dell’abuso d’ufficio: è un reato che si prescrive in 7 anni e mezzo dalla sua commissione ma con i tempi che impieghiamo noi si rischia di lavorare per nulla con la prescrizione dietro l’angolo».
– Tutto ciò lancia un segnale devastante: cioè che gli amministratori pubblici possono godere, nei fatti, di una immunità non prevista dalla legge.
«È un problema grave che dobbiamo risolvere perché è in gioco la credibilità dello Stato. Così come è indispensabile che lo Stato impegni tutte le sue risorse per trovare “il” colpevole e non “un” colpevole tanto per accontentare l’opinione pubblica».
– Dal suo osservatorio privilegiato che impressione ha dell’Amministrazione Pubblica reggina?
«La stessa della città. È complessa. E mal si comprende dove finisce la buona amministrazione e comincia quella cattiva».
– Sempre questione di confini?
«Esatto. E visto che siamo in argomento vorrei anche chiedere quante Ammninistrazioni che si costituiscono parte civile nei processi di ’ndrangheta poi si fanno parte diligente nel riscuotere quanto liquidato dai Tribunali. O si costituiscono parte civile solo per pagare le parcelle degli avvocati? Non ho i numeri ma mi piacerebbe averli».
– A proposito della complessità della nostra città. Secondo lei, come si concilia uno stile di vita ricco, basta vedere le supercar che circolano, con un’economia a rotoli e l’assenza di lavoro?
«Perché nulla è come appare. Anche per questo motivo il procuratore Cafiero de Raho ha sposato alcune nostre intuizioni e ha costituito un pool di magistrati che indagheranno nel settore delle procedure fallimentari per approfondire un settore dove s’intrecciano gli interessi più disparati e dove c’è una commistione di interessi che va approfondita. Anche perché seguendo i flussi di denaro di può fare venire a galla quell’economia sommersa e drogata che alimenta gli intrecci inconfessabili tra professionisti e ’ndrangheta. Vogliamo andare oltre la falsa intestazione di beni».
Gerardo Dominijanni ha lavorato per molti anni nella Dda di Catanzaro e garantisce che nel capoluogo – dunque a pochi chilometri da Reggio – si respira un’aria diversa dalle rive dello Stretto. Più pulita. «Perché lì – spiega il magistrato – c’è una distinzione netta tra borghesia e ’ndrangheta. A Reggio, invece, la realtà è più complessa perché la ’ndrangheta, forse più raffinata di quella catanzarese, si è infiltrata ovunque e ha infettato tutto». Dal ragionamento del procuratore aggiunto discende che vincere la guerra a Reggio è più difficile. E servono più uomini soprattutto all’ufficio gip-gup.
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