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La legge dei "natiloti" sugli appalti

La legge dei "natiloti" sugli appalti

Nel corso dell’indagine “Mandamento Jonico” gli investigatori avrebbero individuato alcune imprese edili di Natile di Careri che imponevano la loro presenza nei lavori pubblici appaltati dalla Provincia di Reggio Calabria. Il gip distrettuale in un paragrafo intitolato appunto “La mafiosità delle cinque ditte edili natilote” scrive di «lavori nel cantiere di Natile di cui assumevano di fatto il controllo attraverso accordi di cartello che stabilivano modalità e turnazioni di lavoro, inserimento e utilizzo di manodopera espressione del territorio, in molti casi a loro collegata per vincoli di parentela, inserimento di imprese per la fornitura di materiali e servizi, anche queste espressione del territorio e collegate per vincoli di parentela». Si tratterebbe di «soggetti, imprenditori e operai, quasi tutti protagonisti di vicende giudiziarie e misure di prevenzione che, in alcuni casi, anche grazie alle dichiarazioni del collaboratore di giustizia Rocco Varacalli, è possibile definire come appartenenti alla ‘ndrangheta, nello specifico alla locale di Natile di Careri».

Per quanto riguarda la «nuova costruzione e parziale adeguamento ex SS. 112 Bovalino-Platì-Zillastro-Bagnara, 1° e 2° stralcio», la Dda ritiene di aver individuato un’imposizione, di fatto, alle ditte destinate ad aggiudicarsi i contratti di fornitura di calcestruzzo, fornitura di materiali edili da cantiere, nolo a caldo macchinari, i subcontratti per lavori a misura, nonché la manodopera. «Tutto sulla base di una logica spartitoria dettata dagli equilibri mafiosi esistenti nel territorio su cui ricadevano i cantieri (Platì-Careri), attraverso accordi collusivi tra gli esponenti di tali realtà criminali (‘ndrine Barbaro di Platì e Cua-Pipicella-Ietto di Natile), attività illecita resa possibile dall’intervento intimidatorio e dalla mafiosità degli indagati e volta ad escludere dal mercato qualsiasi altra realtà imprenditoriale. Con l’aggravante di avere commesso il fatto per attività finanziata in tutto o in parte dallo Stato».

Sul punto scrive ancora il gip reggino: «I fatti rappresentano una sorte di (ennesima) conferma tanto dell’esistenza di un gruppo d’imprese che governano il settore degli appalti in Careri riconducibili alla cosca di riferimento, quanto il portato dichiarativo sul punto di Varacalli che già “in tempi non sospetti” ha preconizzato tutto quanto poi disvelato dalle intercettazioni e acquisizioni documentali in ordine ai reali gestori degli appalti in Natile di Careri». Di fatto – è la conclusione – le “ditte mafiose” hanno costretto (con le buone e con le cattive) le imprese esterne formalmente vincitrici dell’appalto a sottostare alle loro imposizioni/vessazioni economiche assumendo di fatto il controllo totale della gestione dell’appalto nel territorio di riferimento e imponendo i “loro lavoratori”, le loro imprese, le loro forniture in un contesto che, secondo le captazioni assunte, si è rivelato essere ad altissimo densità intimidatoria associativa».

Le imprese di Natile di Careri “dovevano” essere presenti nei lavori pubblici appaltati sul territorio dalla Provincia di Reggio. È la tesi alla base di un capitolo, intitolato appunto “La mafiosità delle cinque ditte edili natilote” agli atti dell’inchjiesta “Mandamento Jonico. . Ciò in base agli accordi tra le ‘ndrine Barbaro di Platì e Cua-Pipicella-Ietto di Natile.

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