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Annunziata e le estorsioni dei clan: "Ho pagato, sono stato vigliacco"

Annunziata e le estorsioni dei clan: "Ho pagato, sono stato vigliacco"

Sarebbe stato un vigliacco a non denunciare, ma chiede dove sono state le Istituzioni in tutti questi anni. Alfonso Annunziata ha rotto il silenzio che si era imposto da quando era finito in carcere accusato di essere socio d’affari dei Piromalli. Un’accusa che l’imprenditore campano trapiantato a Gioia Tauro, ha sempre rigettato con forza. Dalle dichiarazioni spontanee rilasciate nell’ultima udienza del processo “Bucefalo”, nel quale è il principale imputato, Annunziata ha dichiarato a chiare lettere di essere una vittima, di avere sempre pagato il pizzo per “vigliaccheria”, ma di non essere socio della ’ndrangheta.

La maxiestorsione

«Quando ho aperto il negozio di 4000 metri quadri allo svincolo dell’autostrada… nel ’95, si sono presentati a nome di queste famiglie e mi hanno costretto, mi hanno tassato, diciamo così, 20 milioni a una cosca e 20 milioni a un’altra…e più 10 li versavo a quell’altra famiglia», quella cioè di Peppino Piromalli. Una “tassa” che è andava via via crescendo. «Passato poi nel 2000 – ha aggiunto l’imprenditore – io ho fatto un ampliamento del negozio e mi hanno tassato poi a 50 (milioni di lire ndr)». Nella ricostruzione di Annunziata si capisce che le pretese delle cosche sarebbero aumentate dopo l’ampliamento dell’attività commerciale. La richiesta di maggiore denaro, secondo Annunziata, sarebbe stata preceduta da un’intimidazione, delle pistolettate alle serrande. «Nel 2003-2004 – ha spiegato – quando è uscito dal carcere Rocco Molè…quando ho iniziato a costruire il negozio grande… io al negozio di Pino Speranza (suocero di Rocco Molè, ndr) ho incontrato Rocco Molè» e «che ha voluto da parte sua, con la pretesa che aveva i fratelli all’ergastolo, mi ha portato a 75 milioni», vale a dire 38mila euro. La continua richiesta di denaro si sarebbe bloccata nel 2008. «Poi come altro – ha continuato Annunziata – con l’omicidio Molè si è fermata questa, da una parte e dell’altra…sono spariti tutti…però al giugno sono venuti un ragazzo a nome di Molè che dovevano andare a fare i colloqui, dovevano mettere l’avvocato, e sono stato costretto a cacciare 10mila euro una volta e 20mila euro un’altra…».

Umiliazione e vigliaccheria

«Per me è umiliante – ha ammesso Annunziata – perché io ho sempre affrontato tutto con lo spirito, con il sacrificio…per quest’altra cosa sono stato vittima, sono stato vigliacco, ma perché l’ho fatto?... Mo’ adesso mi dite fammi i nomi, io me ne devo andare da Gioia, me ne devo andare con tutta la famiglia e i nipoti… non posso mettere in pericolo le loro vite».

Infine, Annunziata lamenta una scarsa attenzione da parte dello Stato: «Quando mi hanno messo la bomba – ha sottolineato – nell’87 ho chiuso… ho svenduto la merce non è venuto nessuno a dirmi “ma che stai facendo?” Quando sono ritornato pure, perché se fossero venuti forse le cose potevano andare diversamente…».

La deposizione è partita da lontano, da quando cioè nel 1987 fu oggetto di un’intimidazione che lo costrinse a chiudere il suo primo negozio e fare ritorno a San Giuseppe Vesuviano. Il suo ritorno a Gioia Tauro, ha raccontato Annunziata, sarebbe stato possibile solo grazie all’intercessione dello zio con don Peppino Piromalli classe ’21. L’imprenditore si era impegnato a pagare un “fiore” all’anziano boss a Pasqua e Natale. Cosa che ha continuano a fare fino al suo arresto nel 2015.

Nei giorni scorsi l’imprenditore che ha realizzato nella città del porto gioiese un vero impero commerciale è tornato in libertà. Adesso occorre capire che peso avranno queste dichiarazioni dello stesso sugli sviluppi del maxi processo “Bucefalo” in cui è imputata tutta la sua famiglia.

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