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Misure di prevenzione patrimoniali centrali nel contrasto alle ’ndrine

La responsabilità etica baluardo strategico contro la ’ndrangheta

«Le misure di prevenzione patrimoniali nei confronti dei beni di appartenenti a organizzazioni criminali e il loro utilizzo a fini sociali sono divenute centrali nel contrasto alla ‘ndrangheta». Lo sostiene il prefetto di Reggio Calabria Michele di Bari che continua: «Le indagini, oltre a disarticolare le organizzazioni criminali, puntano, infatti, a sottrarre la loro forza economica, utilizzata a fini di controllo del territorio, di accaparramento di consenso sociale o di estensione delle reti di relazione illecite. È emblematico che a distanza di quasi 3 anni dall’operazione “Astrea”, condotta contro gli affiliati di una pericolosa cosca di Reggio Calabria, si sia sviluppata un’attività di indagine conclusasi con la confisca di beni aziendali per oltre 50 milioni di euro da parte della Corte d’Appello di Reggio Calabria a carico di un imprenditore reggino, ritenuto dagli inquirenti “partecipe qualificato” dei tentativi della cosca volti a infiltrare la gestione di importanti servizi pubblici locali. L’azione dello Stato in tale settore appare notevolissima».

«Al mese di febbraio 2018, infatti, secondo i dati dell’Agenzia Nazionale dei beni confiscati, sono 4.411 i beni immobili confiscati in Calabria, di cui 2.148 in gestione e 2.263 già destinati, con 384 aziende, 88 delle quali trasferite ad enti del terzo settore in prevalenza a cooperative di giovani. D’altro canto – dice ancora il prefetto –, è necessario spezzare il legame tra il bene posseduto e i gruppi mafiosi, per intaccarne il potere economico.  L’importanza di tali  strumenti normativi risiede nella possibilità di trasformare un bene simbolo del potere criminale sul territorio da “intoccabile” a “patrimonio comune”, destinato cioè alla collettività.  Un percorso che contiene in sé, oltre a un’incidenza preventiva e repressiva, anche un’importante valenza formativa, di educazione alla legalità e di riscatto sociale.  In questo contesto il sistema istituzionale e sociale è chiamato a riflettere sulle ulteriori iniziative per sostenere il processo relativo alla confisca e alla destinazione dei beni, in tema di riutilizzo e reinvestimento sociale ed economico. Una “norma”, un “procedimento”,  un “compito”, morale ed etico, per indebolire la criminalità nei suoi interessi economici. Ciò ha un forte valore culturale, sociale, educativo».

«Le coop giovanili nate sui beni confiscati alla ‘ndrangheta costituiscono le buone pratiche del sistema Paese che lavora in modo silenzioso, foriere di prospettive, di speranze, di responsabilità, fondate su un impegno vero, tenace e concreto.  È l’esempio di un nuovo senso civico, di un senso di identità, di appartenenza e di orgoglio per il proprio territorio, che diventa “bene comune” patrimonio collettivo e condiviso.  Nelle  nostre città si avverte sempre più la necessità di tali presenze simboliche in grado di interagire con i territori per elidere l’apatia e per risvegliare il senso di appartenenza e di partecipazione, di riscatto di comunità, assediate dall’arroganza e dalla prevaricazione della ‘ndrangheta. È evidente – conclude Michele di Bari – che è necessario riportare nelle mani della cittadinanza le ingenti ricchezze acquisite in maniera illegale , rafforzando l’immagine dello Stato, soprattutto in territori dove le illegalità hanno creato un senso destabilizzante di sfiducia».

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