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Reggina, un 2023 a due facce: dal sogno all'incubo

Gli errori della gestione Saladini, l’esclusione dai professionisti e una faticosa ripartenza

Felice Saladini

Fine anno tempo di bilanci. A Reggio il pubblico riavvolge il nastro e mastica amaro dopo un 2023 da incubo, iniziato con la squadra amaranto al secondo posto nel torneo di B, e culminato in un nuovo fallimento dopo quelli del 1986 e del 2015. Se avessero potuto i tifosi avrebbero fatto ricorso all’intelligenza artificiale per correggere gli errori e scongiurare il suicidio sportivo dell’ex patron Saladini e dei suoi consulenti. Con la squadra ripartita dall’inferno della serie D e con una diversa ragione sociale, ancora oggi nessuno riesce a trovare le ragioni di tante scelte scellerate. Dodici mesi sulle montagne russe, dopo aver brindato, a fine 2022, pregustando una stagione esaltante con Pippo Inzaghi in panchina. Da gennaio in poi, invece, all’orizzonte cominciano ad agitarsi i fantasmi. Iniziano i primi problemi societari causati dalla decisione di far ricorso alla ristrutturazione del debito pregresso. La squadra ne risente, accusa un calo, le sconfitte si susseguono e la panchina di “Superpippo” non sembra più così solida. Taibi comunque fa muro e il tecnico viene confermato nonostante la pesante sconfitta interna con il Cagliari. Nel frattempo arrivano i deferimenti e scattano i punti di penalizzazione per le scadenze fiscali e contributive saltate. Cresce l’apprensione, ma il gruppo si ricompatta, riprende la navigazione e conquista i playoff all’ultima giornata, stendendo l'Ascoli con un gol di Canotto in pieno recupero. Si va agli spareggi promozione contro il Sudtirol che elimina la Reggina, costretta a fermarsi ad un passo dalle semifinali.

Sembra comunque l’inizio di un nuovo cammino virtuoso e invece non sarà così. Saladini e Cardona (è il 12 giugno) annunciano in conferenza stampa che il tribunale ha dato l’ok al piano di ristrutturazione del debito. L’omologa sembra andata a buon fine: «Con questa decisione il club – dichiara Saladini – chiude in maniera definitiva con il passato e con i debiti pregressi». Inizia invece un vero stillicidio perché la Covisoc il 30 giugno boccia la domanda d’iscrizione con una precisa motivazione: il club è colpevole per non aver versato, entro la data perentoria del 20 giugno, un importo residuo di 757 mila euro. Quel termine era tassativo per l’ordinamento sportivo. Dal sogno si passa all’incubo. Decisione confermata dalla Figc nel Consiglio Federale dell’otto luglio. Il presidente Gravina puntualizza: «La scadenza è chiara».
Gli avvocati della società ritengono, invece, che quella somma si possa pagare entro il 12 luglio, seguendo le indicazioni fissate nella sentenza di omologa. «È vero – precisa Gravina – che esiste una decisione da parte di un Tribunale dello Stato che ha concesso, su richiesta della società, la possibilità di pagare in 30 giorni. Lo stesso soggetto era, però, a conoscenza che c’è un termine (20 giugno) per adempiere al proprio debito sportivo».

Saladini si rivolge al Collegio di Garanzia del Coni, ultimo grado della giustizia sportiva. Ma anche qui il parere è negativo. Si passa alla giustizia ordinaria e il Tar del Lazio il 3 agosto dichiara il ricorso degli avvocati amaranto “improcedibile”. Non resta che il Consiglio di Stato che si pronuncia il 30 agosto confermando quando stabilito già dal Tar. Finisce qui una storia lunga più di un secolo. Gli amaranto sono costretti a ripartire dai dilettanti e il sindaco facente funzioni, Brunetti, l’otto settembre sceglie la proposta de “La Fenice” per garantire in qualche modo la prosecuzione del calcio in città. Nella stessa serata la nuova dirigenza si presenta ai giornalisti. A distanza di una settimana, Bonanno e Pellegrino, i responsabili del mercato, puntano su Trocini per la panchina. La squadra, allestita in meno di cinque giorni, stenta a decollare, ma nell’ultimo mese vince gare importanti salendo al quarto posto. Posizione dalla quale ripartirà a metà gennaio. Sarà un nuovo capitolo di una storia amara. A distruggere ci vuole poco. Per ricostruire ci vorrà tanto.

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