Passa il tempo (qualche volta con vicende che lasciano amarezza) ma il feeling tra Reggio Calabria e Pippo Inzaghi resta sempre solido. La città è pronta a riabbracciare l’ex tecnico amaranto che domani, alle 18.30, al cineteatro Odeon, presenterà la sua autobiografia dal titolo “Il momento giusto”, opera della casa editrice Cairo, scritta a quattro mani insieme con il giornalista G.B. Olivero della “Gazzetta dello sport". Accorreranno in tanti per un “rendez vous” che il tecnico già pregusta: «Non vedo l’ora di tornare in mezzo al mio pubblico. Ho lasciato laggiù molti amici in Calabria con i quali siamo rimasti in contatto. Arriverò direttamente da Salerno, dove ancora risiedo, e mi fermerò fino a domenica anche per partecipare alla Cresima della figlia di Gaetano Ungaro, genero dell’ex presidente Foti. Accanto a me ci sarà pure la mia compagna, rimasta legata ai colori amaranto». Possiamo anticipare alcuni brani del libro? «Racconto la mia lunga carriera con diversi aneddoti, ma le pagine toccano anche argomenti che esulano dallo sport. C’è un paragrafo che illustra anche del mio incontro con Angela. Con me è stata una donna paziente. Nelle difficoltà ci siamo uniti e il 24 giugno convoleremo a nozze. Abbiamo due splendidi bimbi, Edoardo e Emilia, che non saranno con noi a Reggio perché resteranno a Salerno con i nonni». Un capitolo tratta anche l’argomento della sofferenza quando dichiarò “Senza pallone ho avuto il male di vivere”. «È vero. Nell’autunno del 2015 per la prima volta il pallone era sgonfio, metaforicamente parlando. Per me non rimbalzava più. Avevo difficoltà a metabolizzare la lontananza dal mio mondo. Mi alzavo al mattino e non sapevo come arrivare a sera. Andavo in palestra, senza però entusiasmo. Il mio corpo mandava segnali inequivocabili di malessere. Mi sono spaventato. Anzi, lo dico chiaramente senza vergogna: ho avuto paura. Temevo di avere qualcosa di grave, addirittura la Sla. Poi ho capito qual era il problema superandolo poco alla volta con l’aiuto dell’amore della famiglia. I miei genitori sono stati eccezionali comprendendo ciò che avevo bisogno». Per lei da tifoso (e protagonista) milanista è stata un’annata in chiaroscuro, mentre suo fratello Simone ha condotto l’Inter allo scudetto della seconda Stella. Ha avvertito sentimenti contrastanti? «Il Milan dovrà, a mio parere, ripartire da un allenatore italiano. È arrivato secondo, ma capisco la delusione dei sostenitori. Per quanto riguarda mio fratello, non posso che essere felice per il percorso eccezionale. Lo ritengo tra i migliori tecnici europei». Sta seguendo la nuova Reggina? «Sì e mi fa piacere che abbia superato la semifinale. Mi auguro un exploit a Siracusa così da poter sperare nel ripescaggio. La piazza merita traguardi ambiziosi e spero che possa uscire al più presto dall’inferno dei dilettanti». Conosce qualcuno della rosa? «Barillà, nonostante la carta d’identità, continua ad essere decisivo. Parliamo di un calciatore di spessore. Diverse volte l’ho affrontato da avversario». Ha un po’ di amarezza per quanto accaduto quasi un anno fa? «Non me l’aspettavo. Avevo sposato un progetto triennale e non sarei mai andato via. Purtroppo è successo qualcosa di incredibile con l’inopinata esclusione dal campionato di B. Sul campo abbiamo centrato i playoff e con un pizzico di fortuna si poteva anche andare avanti. Negli occhi ho ancora l’entusiasmo della gente e i cori della curva». Quella era una rosa competitiva che lei ha saputo valorizzare. Del resto quest’anno alcuni di quei protagonisti si sono imposti indossando altre maglie. «È vero. Hernani e Di Chiara hanno ottenuto la promozione col Parma, Fabbian ha raggiunto la Champions a Bologna e con lui anche Ravaglia. Senza dimenticare Pierozzi che ho voluto a Salerno. Si era creato un gruppo fantastico e peccato che tutto sia durato soltanto lo spazio di una stagione». Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, recita una vecchia canzone. In futuro potrebbe tornare a guidare la Reggina? «Nella via mai dire mai. Perché no? Ci terrei a completare il lavoro che non ho potuto finire».