Lo chiamano goliardicamente “vino”, quasi a esorcizzare la paura di doverselo sorbire dalla prima all'ultima goccia, anche se per via endovenosa. In quella sacca che pende dal porta-flebo, c'è quel miscuglio di farmaci convenzionalmente chiamato chemioterapia: quanto basta per incutere preoccupazione, paura, terrore.
Stati d'animo forti e annichilenti allo stesso tempo, che si riesce a contrastare, più o meno efficacemente, nella misura in cui ci si ritrovi accanto a persone in camice dalla spiccata sensibilità. E quando qualcuno trova la forza di raccontare il percorso compiuto, la sua testimonianza arriva diritta al cuore di chi l'ascolta.
Com'è capitato durante il recente convegno sulla “Multidisciplinarietà in oncologia”, all'Access point di Roghudi, organizzato dall'Unità operativa oncologica del “Tiberio Evoli”. In chiusura della due giorni, che ha richiamato circa duecento medici, provenienti da diverse regioni, coordinata dai dottori Nino Iaria, responsabile del servizio, e Pasquale De Stefano, è stata letta la testimonianza di Angela Randazzo, 40 anni, residente a Bagnara Calabra, paese del quale è assessore comunale in carica.
Racchiusi nello scritto ci sono gli stati d'animo contrastanti, vissuti poco meno di un anno addietro, durante la “via crucis” della cura durata sei mesi, ma anche grande riconoscenza per il calore e la professionalità incontrati. «Ho voluto testimoniare - spiega - di essere stata presa in carico da un reparto portato avanti da professionisti seri e preparati, in un clima accogliente e rassicurante allo stesso tempo, esprimendo la mia gratitudine per la sensibilità, nonché per la riservatezza, riscontrati durante l'intero ciclo di chemioterapia, affrontato per fermare il carcinoma mammario che avevo scoperto quando era già in fase avanzata».
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