Droga, armi, copertura per i latitanti. I picciotti della cosca Bellocco nella zona nord-ovest di Roma avevano trovato una base operativa nella quale contare sull'appoggio di giovani romani rampanti, vogliosi di scalare le gerarchie criminali grazie anche ai collegamenti con la 'ndrangheta.
Lo spaccato emerso dall'ultima inchiesta della Procura antimafia capitolina ha svelato non solo la scalata al potere criminale di Roma di un'organizzazione dedita allo spaccio di droga, ma soprattutto le infiltrazioni nel quartiere Montespaccato di Roma, zona nord-ovest della Capitale.
Un'infiltrazione venuta alla luce anche grazie all'apporto fondamentale di due ex “pezzi da novanta” del traffico internazionale, i calabresi Giuseppe Tirintino e Antonio Femia. I nomi che i due collaboratori consegnano ai magistrati romani sono quelli di giovani e meno giovani che hanno imperversato per anni, anche da latitanti, per mezza Europa (soprattutto Olanda e Germania) movimentando enormi quantità di droga.
Femia ha riferito ai magistrati che «Alessandro Mazzullo (legato ai Gallico di Palmi ndr), Ferdinando Cimato, Umberto Bellocco, allora latitante, Bellocco Domenico, detto “u longu”, Francesco Bellocco, cugino latitante, con due romani, un certo Costantino, una persona tatuata, e un certo Luca… hanno fatto passare una quantità inimmaginabile di droga fatta entrare in Italia o tramite Gioia Tauro o da Milano o dall'Olanda…».
Femia, quindi, riferiva dell'esistenza a Roma di un sottogruppo criminale legato ai Bellocco costituito, appunto da «Domenico Bellocco - si legge nelle carte - Umberto Bellocco, Francesco Bellocco, Alessandro Cimato. A tali soggetti Femia associava tale Costantino».
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