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'Ndrine e “vacche sacre”: lo strano caso nella Locride di Reggio

Vacche sacre

«Regalerò, ovviamente gratis, a chi viene a prenderseli, tutti gli animali che pascolano illegalmente, privi di tracciabilità, allo stato brado sui miei terreni». Ha presentato denunce, chiesto aiuto, scritto ai massimi vertici delle Istituzioni, ma finora tutto è stato vano. Non molla però Bruno Bonfà, l'imprenditore della Locride figlio di Stefano ucciso in circostanze mai chiarite nel '91: la sua battaglia contro le “vacche sacre” della 'ndrangheta, le minacce, i danni e le intimidazioni va avanti. «Domando a me stesso a che titolo mi è stata data una scorta a tutela e protezione della mia persona se poi - dice Bonfà - le istituzioni stesse mi lasciano da solo a contrastare la genesi di tutto ciò».

Il titolare dell'azienda ereditata dal padre, «la prima in Italia con colture di bergamotto, oggi a plurima diversificazione colturale e zootecnica», ne è fermamente convinto: c'è un legame tra i sequestri di persona dell'epoca, l'omicidio del padre e le “vacche sacre” che oggi asserisce «non danno pace alle mie terre». Che gli animali vaganti siano un vecchio strumento di pressione delle organizzazioni criminali, sia nella Locride che nella Piana di Gioia Tauro, è ormai un dato acquisito. Le campagne di cattura e abbattimento volute dalla Prefettura di Reggio hanno dato buoni risultati. Ma non nella Vallata de La Verde. Bonfà crede che dietro ci sia una strategia perversa e lo va denunciando da tempo. Il padre sarebbe stato ucciso perché incolpevole testimone del trasporto di un sequestrato.

L'articolo completo sulla Gazzetta del Sud in edicola. 

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