Dopo 32 anni i carabinieri avrebbero fatto luce su uno dei delitti più feroci commessi a Reggio Calabria durante la guerra di 'ndrangheta che insanguinò la città: quello di Giuseppe Cartisano, all’epoca dei fatti 21enne, assassinato il 22 aprile 1988.
A conclusione di indagini coordinate dalla Direzione Distrettuale Antimafia, i militari del comando provinciale dell’Arma hanno notificato un’ordinanza di custodia cautelare in carcere a Vincenzino Zappia, detto «Enzo», di 52 anni, già detenuto per altri reati.
L’indagine, condotta dal Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Reggio Calabria e coordinata dal procuratore della Repubblica Giovanni Bombardieri e dal sostituto procuratore Walter Ignazitto, è stata avviata nel settembre del 2019 e avrebbe consentito di fare completa chiarezza su uno dei fatti di sangue più efferati ed eclatanti della faida reggina a cavallo tra gli anni 80 e 90.
Due killer entrarono in azione la sera del 22 aprile 1988 all’interno del bar gelateria Malavenda, nella centralissima piazza De Nava, dove affrontarono Cartisano, colpendolo a morte con numerosi colpi di arma da fuoco. Durante la successiva fuga furono intercettati ed inseguiti da una pattuglia dei Carabinieri, contro i quali esplosero diversi colpi di arma da fuoco.
Nel corso del conflitto a fuoco che ne seguì, rimase ucciso uno dei due sicari, Luciano Pellicanò, 22 anni. L’altro, oggi identificato in Zappia, sebbene ferito, riuscì a dileguarsi, approfittando dell’aiuto fornitogli da ignoti complici. I Carabinieri rinvennero lungo la via di fuga dei killer consistenti tracce ematiche. Si trattava del sangue che uno degli assassini aveva copiosamente perduto, dopo essere stato colpito alla gamba nel corso del conflitto a fuoco. Gli accertamenti tecnici condotti nell’immediatezza su quel materiale biologico, non consentirono, tuttavia, per le conoscenze tecnico-scientifiche dell’epoca, di addivenire all’individuazione del colpevole.
Lo scorso anno, la Dda di Reggio Calabria, nel riesaminare le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia (che avevano fornito indicazioni su quella vicenda nell’ambito del processo «Olimpia» e nel corso di indagini successive), ha proceduto ad una nuova ed accurata verifica degli atti processuali, recuperando i reperti di tracce ematiche rimasti custoditi per più di trent'anni negli archivi giudiziari.
Sono stati, quindi, delegati accertamenti genetico molecolari sui campioni di sangue archiviati che, grazie alle moderne tecniche di laboratorio, hanno permesso ai Carabinieri Investigazioni Scientifiche - Reparto Investigazioni Scientifiche di Messina di estrapolare il Dna nucleare utile per fini identificativi. La successiva comparazione di laboratorio avrebbe fornito la conferma circa l’identità del killer fuggito all’epoca dei fatti. E’ stata, infatti, riscontrata la perfetta sovrapponibilità tra il profilo genetico molecolare estratto dalle tracce ematiche rinvenute sulla scena del crimine e quello ricavato dal tampone salivare dell’indagato Vincenzino Zappia.
L’individuazione dell’impronta genetica si aggiunge a quanto dichiarato da numerosi collaboratori di giustizia, in merito al coinvolgimento diretto di Zappia nell’agguato mortale di piazza De Nava. L’indagine ha ulteriormente certificato l’appartenenza di Vincenzino Zappia alla potente cosca di ndrangheta dei De Stefano-Tegano, attiva in Reggio Calabria, per conto della quale avrebbe portato a compimento anche l’omicidio del giovane Cartisano. Le risultanze investigative avrebbero consentito di delineare la spiccata caratura criminale del destinatario del provvedimento di oggi, impostosi come uno tra i più spietati elementi dei gruppi di fuoco che la compagine di appartenenza, durante la seconda guerra di ndrangheta, aveva approntato per far fronte alle offensive delle cosche avversarie. Sullo sfondo una cruenta lotta senza quartiere ingaggiata per il predominio mafioso sulla città di Reggio Calabria.
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