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Arrestato a Bruzzano Zeffirio il latitante Cesare Antonio Cordì: tradito dalle norme anti-Coronavirus

Arrestato a Bruzzano Zeffirio, in provincia di Reggio Calabria, il latitante Cesare Antonio Cordì, 42enne esponente di spicco della 'ndrangheta di Locri, in una operazione messa a segno dai carabinieri delle Compagnie di Bianco e Locri, assieme allo squadrone eliportato "Cacciatori d'Aspromonte".

L'uomo si nascondeva nel centro del reggino ed è stato individuato grazie alla violazione delle norme emergenziali in atto per il contenimento del contagio da Coronavirus.

L'azione dei militari ha impedito ogni di fuggire da un ingresso secondario a Cordì, che si era reso irreperibile in occasione dell'esecuzione dell'operazione "Riscatto" della Compagnia di Locri dello scorso agosto.

A conclusione delle indagini coordinate dal procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e dai sostituti procuratori Giovanni Calamita e Diego Capece Minutolo, a carico di Cesare Antonio Cordì è stato emesso un provvedimento di custodia carceraria poiché indagato per trasferimento fraudolento di valori, aggravato perché commesso al fine di agevolare l'associazione mafiosa: per eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, aveva attribuito alla moglie la titolarità formale di un esercizio commerciale.

Sono in corso le indagini per ricostruire la rete che di persone che ha favorito la latitanza di Cordì. I carabinieri erano sulle sue tracce da giorni. Ma quando nella tarda serata di ieri, nel deserto quasi spettrale di Bruzzano Zeffirio - comune di poco più di mille anime con le strade svuotate dai decreti emergenziali sul coronavirus - hanno visto qualcuno portare una busta della spesa in una casa di Contrada Monica, hanno completato con l’ultima tessera il puzzle delle loro indagini: quell'appartamento non poteva essere solo il buen-retiro di un onesto cittadino.

Ed è bastato il bagliore di una sigaretta - carpito dalla fessura di una tapparella - per dare la certezza che proprio lì si nascondesse Cesare Antonio Cordì. Di fatto, spiegano gli investigatori, sono state proprio le singolari condizioni ambientali generate dall’emergenza sanitaria in atto ad impedire al latitante di continuare a nascondersi in una casa tra le tante che, in questi giorni, vedono sola fugaci uscite per gli acquisti quotidiani di cibo.

Nell’agosto 2019 i carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria, coordinati dalla procura di Reggio Calabria diretta da Giovanni Bombardieri, avevano assestato un durissimo colpo alla storica cosca locrese dei Cordì, ai cui affiliati erano stati contestati, a vario titolo, i reati di associazione di tipo mafioso, estorsione, danneggiamento seguito da incendio, illecita concorrenza con minaccia o violenza, trasferimento fraudolento di valori, detenzione e porto in luogo pubblico di armi, con l’aggravante di aver agito per favorire gli interessi della 'ndrangheta.

In particolare, a conclusione delle indagini a carico dell’uomo era stato emesso un provvedimento di custodia cautelare in carcere per trasferimento fraudolento di valori - aggravato perché commesso al fine di agevolare l’associazione mafiosa - in quanto, «al fine di eludere le disposizioni di legge in materia di misure di prevenzione patrimoniali, attribuiva fittiziamente alla moglie la titolarità formale dell’esercizio commerciale 'Dolcemente di Giorgi Teresà ad Ardore».

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