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La polemica sindaco-arcivescovo, a Reggio oscurati i manifesti anti-aborto

L’aborto e la libertà di espressione. Si muove sul filo di due temi delicatissimi la polemica esplosa in riva allo Stretto sui manifesti della campagna contro l’aborto lanciata dalla onlus “ProVita&Famiglia”. Il sindaco Giuseppe Falcomatà, ritenendo la campagna «violenta» nell’ottica di un messaggio secondo cui «la donna non è padrona di se stessa», ne ha disposto la rimozione. L’Arcidiocesi ha risposto duramente, accusando il primo cittadino: «Il commento del sindaco appare assolutamente non condivisibile ed inappropriato. Sì alla vita». E mentre “ProVita&Famiglia” prefigura una coda giudiziaria («Caro sindaco, ci vediamo in Tribunale»), la bagarre infuria sui social.
Da parte sua, il Forum Famiglie Calabria, «fermo restando che ogni forma di censura, da chiunque attuata, contro la libertà di manifestazione del pensiero, è certamente meritevole di biasimo e ogni atto di limitazione di tale libertà non può essere giustificata», cerca di allargare l’orizzonte. «Intendiamo approfittare dell’attenzione mediatica per ragionare su una questione ben più ampia e sicuramente più profonda di un mero manifesto, che – scrive in una nota il presidente, Claudio Venditti – non si può ridurre a semplici slogan o contrapposizioni. Sarebbe infatti auspicabile che, a più di 40 anni dalla sua approvazione, le istituzioni possano garantire l’applicazione integrale della legge 194, a partire dalla sua parte preventiva (articoli 2-5), purtroppo spesso ignorata. Ciò comporta che vengano abbandonate alla loro solitudine donne che chiedono di abortire per le difficoltà a portare a termine la loro gravidanza ma che, se debitamente aiutate, potrebbero realizzare il loro diritto a diventare madri. Sono tanti i problemi che una donna in attesa di un figlio incontra, e la scelta dolorosa di abortire genera spesso drammi che ci si porta dietro tutta la vita. Chi se ne preoccupa? Le istituzioni, a partire da quelle comunali, devono occuparsi di tutti e non soltanto di una parte. Ci sono esperienze valide di aiuto e allora perché non lavorare insieme per provare a rimuovere le tante cause che possono limitare anche in modo drammatico la libertà di una donna che vuole diventare madre? Perché non vengono messe in atto politiche reali di tutela della maternità anche e soprattutto nei posti di lavoro?».

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