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'Ndrangheta a Reggio, il pentito Cortese: "Romeo e De Stefano appartenevano a potere superiore"

Le dichiarazioni del collaboratore di giustizia nell'ambito del Processo Gotha

Maurizio Cortese

«Quando io ho lasciato il carcere, Paolo Romeo è passato nella mia cella. Romeo era arrivato a Tolmezzo pochi mesi prima. Io sapevo chi era lui e lui sapeva qual era il mio calibro e il mio ruolo criminale. Pietro Labate mi disse che dovevo portare rispetto a Paolo Romeo e Giorgio De Stefano». A dirlo è stato il collaboratore di giustizia Maurizio Cortese che per la prima volta ha deposto in un dibattimento pubblico. Lo ha fatto stamani, collegato in videoconferenza con l’aula bunker di Reggio Calabria, nell’udienza del processo «Gotha» che si sta celebrando con il
rito ordinario e che vede, come principale imputato, l’avvocato ed ex parlamentare del Psdi Paolo Romeo, ritenuto la testa pensante della 'ndrangheta reggina.

Romeo e l’avvocato Giorgio De Stefano, secondo l’ex boss, "non facevano parte della 'ndrangheta "vecchio modello".
Piuttosto, ha aggiunto, facevano parte «di un sistema di potere superiore di quello della 'ndrangheta tradizionale".

Dopo Cortese è stato sentito il collaboratore Maurizio De Carlo, ex contabile della cosca De Stefano che ha parlato di politica e, riferendosi a Nino Fiume, oggi collaboratore di giustizia ma fino al 2002 killer degli «arcoti», ha detto: "Ha fatto una forte campagna elettorale per l’ex presidente della Regione Calabria Giuseppe Scopelliti. Conosco Antonio Caridi, anche lui è stato sostenuto dalla famiglia De Stefano. Lui era sponsorizzato dalla cosca De Stefano e soprattutto da Franco Chirico".

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