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'Ndrangheta, colpo al clan Nasone-Gaietti: 19 arresti per traffico droga e armi nel Reggino e nel Messinese

Blitz mattutino dei carabinieri del Comando provinciale di Reggio Calabria a Scilla, Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte e nelle province di Messina, Milano, Roma e Terni

Questa mattina, alle prime luci dell’alba, a Scilla, Sinopoli, Sant’Eufemia d’Aspromonte e nelle province di Messina, Milano, Roma e Terni, i carabinieri del Comando Provinciale di Reggio Calabria, a conclusione di indagini coordinate dalla Procura di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia, nell’ambito dell’operazione denominata “Lampetra”, hanno dato esecuzione ad una misura cautelare personale nei confronti di 19 persone (15 in carcere e 4 ai domiciliari), emessa dal Tribunale – sezione Gip del capoluogo calabrese, ritenute responsabili – in particolare – di associazione di tipo mafioso, associazione finalizzata alla produzione e al traffico di stupefacenti, detenzione illegale di armi e tentato omicidio.

L'indagine

Il provvedimento restrittivo eseguito dai Carabinieri del Reparto operativo di Reggio Calabria e dalla Compagnia di Villa San Giovanni, è l’esito di un’investigazione avviata nel 2019 e conclusasi nei primi mesi del 2021, coordinata dalla Procura della Repubblica di Reggio Calabria – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Procuratore Giovanni Bombardieri e condotta dai Sostituti Procuratori Dda Walter Ignazitto e Paola D’Ambrosio. Il focus principale delle investigazioni è stato diretto ad acclarare la radicata e attuale operatività della cosca Nasone - Gaietti, struttura mafiosa pienamente organica alla ‘ndrangheta unitaria ed operante nel territorio di Scilla e nelle aree limitrofe.

I 19 arrestati

In carcere sono finiti Antonio Alvaro, Italo Flaviano Cacciola, Antonino Cambareri, Cosimo Cannizzaro, Francesco Caracciolo, Angelo Carina, Carmelo Cimarosa, Francesco Cimarosa, Silvio Emanuele Cimarosa, Fatmir Fejzulla, Antonino Galati Giordano, Salvatore Gentilesca, Francesco Laurenti, Santino Porcaro e Vincenzo Siglitano. Sono stati disposti, invece, i domiciliari, per Silvio Carina, Cosimo Cicco, Giuseppe Cicco ed Enzo Violi.

Le indagini legate all'operazione reggina, basate su intercettazione telefoniche, ambientali e telematiche, hanno offerto uno spaccato di rara chiarezza, in ordine alla particolare declinazione del predetto sodalizio nel settore del narcotraffico, attraverso una autonoma capacità produttiva di marijuana e consolidati canali approvvigionativi per la cocaina nelle aree urbane di Scilla, Bagnara e Villa San Giovanni, grazie al ruolo svolto dall’indagato Carmelo Cimarosa; nella disponibilità di armi, tra le quali spicca un kalashnikov di fabbricazione russa, per la commissione di gravi delitti sul territorio - tra cui emergono un agguato ai danni di un ignaro cittadino, organizzato al solo fine di dimostrare l’egemonia criminale della cosca sul territorio e  la cacciata dalla Calabria di un pusher, reo di aver ritardato il pagamento dello stupefacente.

Le altre figure

Da ultimo, si evidenzia la finalità di controllare alcuni settori particolarmente delicati dell’economia scillese: basti pensare all’interesse dimostrato per le assegnazioni delle concessioni degli stabilimenti balneari. Tutte fasi criminali controllate dalla figura di Angelo Carina, di cui si è delineato il sicuro rango apicale. Imprescindibile punto di riferimento per il nipote Carmelo Cimarosa (affiliato al sodalizio e responsabile dell’approvvigionamento e della distribuzione dei quantitativi di stupefacente destinati allo spaccio al dettaglio) con cui era in costante contatto e permanente simbiosi delinquenziale, e per gli altri appartenenti al sodalizio ed al gruppo responsabile dello spaccio di stupefacente: una sorta di mentore criminale al quale, primo fra tutti, Cimarosa ed i più giovani affiliati si rivolgevano per ricevere indicazioni operative ed ottenere l’autorizzazione al compimento delle azioni delittuose più rilevanti essendo stata documentata anche la disponibilità di armi da parte degli appartenenti al sodalizio ed una particolare propensione a portare azioni violente sul territorio.

Il costante contributo di Angelo Carina nelle determinazioni più rilevanti, concernenti la gestione del narcotraffico associato, non era fine a sé stesso, ma si traduceva – ovviamente – nella sua partecipazione anche in sede di spartizione dei relativi guadagni.

L’attività intercettiva, incardinata sulla figura del citato Carmelo Cimarosa, acclarava la centralità della sua figura in ordine alla specifica cura, in nome e per conto del sodalizio, della gestione di un vasto traffico di sostanza stupefacente, il cui flusso di rifornimento era garantito da una stretta cointeressenza con Antonio AlvaroFrancesco Laurendi ed Enzo Violi, colpiti anch’essi dall’odierna misura cautelare, e la cui distribuzione al dettaglio era curata da un collettivo di spacciatori  a carico dei quali sono state censite 52 cessioni a riprova dell’ingente volume di traffico e di quantità di sostanza stupefacente gestito dal sodalizio.

Il controllo di Scilla

Le attività di monitoraggio ed osservazione hanno permesso di accertare e quindi allentare l’asfissiante controllo del territorio di Scilla che il sodalizio mafioso ha posto in essere, grazie all’attività di spaccio che aveva trovato nella villa comunale la propria base operativa sottraendola alla disponibilità di cittadini e famiglie. I membri della consorteria si sono infatti attrezzati, per gestire in modo professionale il business degli stupefacenti, rivolgendosi a fornitori, in grado di assicurare canali privilegiati e stabili di approvvigionamento; tra questi, il principale era certamente il già menzionato Antonio Alvaro; in particolare, Carmelo Cimarosa era attivo principalmente nel mercato della cocaina; mentre quello della marijuana era delegato ai fratelli Silvio Emanuele e Francesco Cimarosa. Le indagini hanno fornito un quadro completo e ben definito della squadra di pusher che, capitanati da Carmelo Cimarosa, si sono rivelati in grado di realizzare una capillare rete di spaccio nel territorio di Scilla e Bagnara Calabra; tenendo una (sia pure rudimentale) contabilità dei rispettivi rapporti di dare/avere, scambiandosi consigli ed ammonimenti per scongiurare il rischio di essere intercettati, dedicandosi alla coltivazione della canapa indiana, per dotare l’organizzazione di stupefacente “fatto in casa” e così incrementare i comuni guadagni, progettando inoltre l’espansione in altre regioni del norditalia per l’esponenziale incremento del giro d’affari criminale e dei connessi margini di profitto e fidelizzando un altissimo numero di clienti che Cimarosa quantificava in ben 400, tra i comuni di Scilla e Bagnara Calabra.

Gli appalti pubblici

«Una cosca di 'ndrangheta a tutto tondo, con interessi nel campo dell’imposizione con la violenza del proprio agire e che vedeva nello spaccio, che controllava in tutta Scilla e zone vicine, la propria fonte di guadagno principale, ma anche con un occhio rivolto a possibilità di concessioni da parte della Pubblica Amministrazione e l’imposizione del pizzo per lavori che man mano venivano monitorati in corso di svolgimento». Con queste parole il procuratore capo della Dda di Reggio Calabria, Giovanni Bombardieri, ha riepilogato gli interessi della cosca Nasone-Gaietti, nel corso della conferenza stampa tenuta per illustrare i dettagli dell’operazione Lampetra, scaturita da un’indagine dei Carabinieri che stamani hanno eseguito 19 arresti. In particolare, ha rivelato il procuratore Bombardieri, dalle indagini è emerso che a una persona erano state date indicazioni «di girare nel territorio del comune e verificare se ci sono lavori, vedere se fanno strade, che poi arriviamo noi». I principali introiti derivavano dallo spaccio di stupefacente, cocaina acquistata dagli Alvaro e trasportata in piccole quantità, per non rischiare di subire sequestri di grosse quantità e quindi gravi danni economici, ma anche marijuana. Per quest’ultima sostanza la cosca si era dotata di proprie piantagioni.

Tutto ruotava intorno a Cimarosa

L’associazione creatasi intorno a Cimarosa non mancava di confrontarsi, talvolta con una ruvida contrapposizione, alle altre attive sul territorio, attraverso una rivalità che si traduceva nel desiderio di acquisire fette di mercato sempre più ampie a discapito dei concorrenti. Questi, per imporre le proprie regole e per suscitare diffusa intimidazione sul territorio, si avvaleva – oltre che della fama della cosca di appartenenza – anche di un generalizzato ricorso alla violenza, di cui non mancava di vantarsi con l’interlocutore di turno.

L’indagato faceva presente di non avere remore a contrapporsi a chicchessia nell’area di Scilla: anche chi poteva godere della vicinanza con esponenti di altre frange della locale criminalità organizzata, non sarebbe rimasto immune dai suoi raid punitivi. Violenza che veniva esercitata nei limiti in cui era consentita dal galateo della 'ndrangheta ed in modo da non incorrere nella perdita del “rispetto della famiglia”.

I carichi destinati a Gioia Tauro

L’investigazione, inoltre, si è dimostrata decisiva per il censimento della destinazione finale di un ingente carico di cocaina nel porto di Gioia Tauro. Nello specifico, le propalazioni intercettate evidenziavano, a partire da quella data ed acutizzata nel mese di dicembre del 2019, una grave difficolta di rifornimento di sostanza stupefacente da parte dei fornitori di cocaina oggetto di attenzione investigativa.

Le indagini hanno fotografato, anche, l’allarmante propensione di Carmelo Cimarosa e dei suoi accoliti a fare ricorso ad armi da sparo, per risolvere le problematiche che, di volta in volta, si frapponevano al raggiungimento dei loro obiettivi criminali, che palesano l’elevatissima pericolosità sociale degli indagati e delineano il contesto criminale in cui gli stessi da tempo operano.

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