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'Ndrangheta, l'omicidio di Bruzzese: "Armi da guerra, pronti ad altri attentati"

Giovanni Bombardieri

Bazooka, armi da guerra ed esplosivo per fare esplodere un’autovettura blindata. Sono questi, insieme al pericolo di fuga, gli indizi che hanno convinto gli investigatori a mettere fine prematuramente a tre anni di indagine ed eseguire i fermi prima che i progetti criminali si concretizzassero. Lo hanno spiegato oggi durante la conferenza stampa tenuta nella sede del comando provinciale dei Carabinieri di Reggio Calabria il procuratore capo Giovanni Bombardieri e il procuratore aggiunto Calogero Gaetano Paci. Il procuratore Bombardieri ha parlato dell'attualità di progetti omicidiari, di attentati gravissimi in capo a soggetti riferibili alla cosca Crea» e di un «preoccupatissimo quadro di indagine che vede attualmente soggetti riferibili alla cosca Crea alle prese con progetti omicidiari».
Gli investigatori hanno utilizzato comunicazioni oggetto di indagine e riscontri che fanno riferimento al reperimento di ordigni esplosivi, armi micidiali come bazooka, disponibilità di queste armi micidiali. «Il dato certo - ha detto Bombardieri - è la pericolosità di soggetti che interloquivano in ordine a progettazione di attentati omicidiari. Alcune ricostruzioni relative ai progetti omicidiari fanno riferimento alla sentenza della Corte d’appello di Reggio Calabria che ha confermato condanne in secondo grado per alcuni componenti apicali della cosca Crea e ribaltato l’assoluzione per uno».
Quanto all’esplosivo, sarebbe stato reperito in paesi dell’area balcanica, grazie all’interessamento di un personaggio latitante in Spagna, arrestato recentemente per scontare 15 anni per traffico di stupefacenti.

«Due dei fermati erano pronti a commettere altri episodi delittuosi con la disponibilità di armi da guerra inquietanti. Stavano pianificando un altro delitto di un altro testimone di giustizia che aveva reso testimonianze». Lo ha rivelato la procuratrice distrettuale antimafia delle Marche, Monica Garulli, durante una conferenza stampa dopo i fermi per l’omicidio di Marcello Bruzzese, fratello del collaboratore di giustizia Biagio Girolamo Bruzzese, il giorno di Natale del 2018. L’urgenza a intervenire con provvedimenti di fermo è stata necessaria, ha spiegato, «per acquisire elementi investigativi arrivati anche dall’estero che evocavano uno scenario grave». Dalle indagini, ha spiegato Garulli, «è emersa una lunga pianificazione del delitto. Le stesse persone sono state immortalate sempre da filmati a bordo di due auto le cui targhe però erano state clonate. I sopralluoghi nei luoghi di residenza della vittima e dei suoi parenti erano iniziati a novembre, tutti per colpire il collaboratore». Era una "giovane cosca" quella alla quale i soggetti fermati avevano dato vita, con i vertici "Crea" in carcere, secondo la procuratrice, in base alle indagini condotte; i fermati sono stati trasferiti in carcere tra Vibo Valentia, Reggio Calabria e Brescia. Per il delitto «la causale va identificata - ha spiegato Garulli - nella volontà di riaffermare la capacità intimidatoria della cosca madre, in territorio lontano e a distanza di tempo visto che il dibattimento per il processo ai Crea si è concluso nel 2018; e anche a scoraggiare altre collaborazioni "di famiglia"

 

 

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