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Gioia Tauro, ’U signurinu “bancomat” dei Piromalli

L’inchiesta ricostruisce la storia criminale della Piana: dai racconti dei pentiti conferme su alcune figure di primo piano

«Tutte le famiglie si riconoscevano in Nino, “Ninu ’u signurinu”. Da Cosenza alla Sicilia, sapevano che era una testa pensante, ecco. Non è che lui comandava un omicidio, però lui era quello che sapeva interfacciarsi con queste famiglie, ma non era un avvocato, era un portatore di un potere criminale, che erano i Molè-Piromalli, attenzione».
Pagine di storia criminale che tornano attuali tra i verbali dell’operazione “Mala pigna”: a parlare, fra gli altri, è il pentito Cosimo Virgiglio, che ricostruisce ai magistrati della Dda gli assetti, i rapporti di forza e i personaggi chiave delle potentissime cosche della Piana. E il nome di Nino Gangemi, detto “Ninu ’u signurinu” per la sua eleganza, fratello di Domenico Gangemi, indagato nell’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Reggio, torna con prepotenza. Lui, appartenente alla famiglia storicamente legata ai Molè ed ai Piromalli, «ben presto – racconta il collaboratore di giustizia – si siederà ai tavoli di tutte le consorterie di criminalità organizzata della Calabria, principalmente ha la capacità di sedare vere e proprie faide, come avviene a Locri con i Cordì, come avviene a Siderno con me, i Commisso e i Costa, come avvenne… addirittura lui fu l’ideatore di quei grande aggregato di ‘ndrangheta che si trova a Isola Capo Rizzuto, e riuscì ad unire tutte le famiglie di quei territori, a farli sedere in un tavolo e farti spartire, perché il suo motto era questo: “Noi dobbiamo rimanere in silenzio in Calabria”».

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