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Piromalli-Mancuso, affari intorno al porto di Gioia Tauro

Le storiche alleanze criminali raccontate dai pentiti ai magistrati della Dda

La cocaina mimetizzata nel marmo scoperta a Gioia Tauro

«I Mancuso, Pesce, Molè e Piromalli sono stretti». È intorno al porto di Gioia Tauro che si stringono alleanze e storici rapporti di forza tra le più potenti cosche della Piana e del Vibonese. Pagine di storia criminale che s’intrecciano fra le inchieste “Scott Rinascita” della Dda di Catanzaro, guidata da Nicola Gratteri, e “Mala pigna” della Procura antimafia reggina diritta da Giovanni Bombardieri. Parlano i pentiti al cospetto dei magistrati. E raccontano episodi che come tessere vanno ad inserirsi in un mosaico sempre più chiaro. Ad Annunziato Raso, per esempio, fa eco Giuseppe Morano, secondo cui «i Pesce con i Molè, Piromalli, con i Mancuso, queste tre famiglie erano molto unite, Mancuso, Piromalli, Pesce», mentre «i Bellocco era un gruppo a sè, diciamo, però non davano... che comandavano in Rosarno, che... cioè la famiglia più importante era quella lì dei Pesce». A tenere i rapporti tra Molè, Piromalli e Mancuso avrebbero pensato anche Domenico Gangemi e Rocco Delfino, non a caso tra i principali indagati di “Mala pigna”. Le parole di Delfino intercettate nel 2015, per gli inquirenti, sono emblematiche: «Noi abbiamo fatto un giuramento no... allora... siamo tutti una pigna stop, se ti fai male tu mi faccio male anche io». A settembre 2016, gli inquirenti documentano un ulteriore episodio che confermerebbe la relazione esistente tra le consorterie, nonché «il ruolo verticistico che Luigi Mancuso occupa in seno al cosiddetto “mandamento tirrenico” della ’ndrangheta»; si parla di un problema «con uno di Gioia» che solo Mancuso può risolvere: «Sono tutti in galera... ma comanda sempre Luigi, in tutta Italia, non solo qua», dice un indagato captato dagli investigatori.

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