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'Ndrangheta, chimici e palombari al soldo dei clan ma segregati a Gioia Tauro. Come in tv

La raffineria nelle campagne di Gioia, i militari giunti dal Sudamerica, la cocaina recuperata nei fondali. «Eravamo sempre nascosti, in macchina, come un film, e uno controllava se c’era la Polizia»

Tutti “casa e chiesa”, liberi di uscire solo per lavorare al soldo del clan, in modo da non dare mai nell’occhio. Dal Sudamerica a Gioia Tauro per servire i Molè: sono chimici e palombari, giunti nella Piana i primi per trattare i carichi di coca, i secondi per recuperare quella lanciata sott’acqua per “dribblare” i controlli. Le loro storie sono ricostruite dagli inquirenti, e sembrano puntate di una serie tv.
Racconta uno dei chimici, intercettato, al rientro a Barcellona: «Eravamo sempre nascosti, solo macchina, come un film, sembrava un film, cambiavamo macchina di continuo... lo stesso, entravamo e cambiavamo di macchina e poi altra campagna e cambiavamo macchina e così, fino ad arrivare al punto... uno era davanti e controllava se c'era la Polizia». Staffette e occhi dovunque. Il clan avrebbe operato, secondo i magistrati, avvalendosi di una ramificazione internazionale non solo per approvvigionarsi di ingenti quantitativi, ma anche per il successivo recupero in mare dello stupefacente e per la lavorazione. Le indagini avrebbero fatto emergere, nel 2019, la presenza in Italia di personaggi sudamericani (quattro peruviani e un colombiano).
Intercettazioni telematiche e telefoniche, più classici servizi di osservazione e controllo, videoriprese hanno portato gli inquirenti a una certezza: nelle campagne gioiesi era stata avviata una vera e propria fabbrica di estrazione, raffinazione e impacchettatura di cocaina attraverso l'ausilio tecnico dei chimici stranieri assoldati da Rocco Molè e Giuseppe Condello, considerati capo dell’organizzazione di narcotrafficanti, che si sarebbero rivolti ad un’organizzazione criminale attiva in Spagna. «Tale organizzazione – annotano gli inquirenti – faceva, a sua volta, parte di un cartello criminale operante tra il Sud America, la Spagna e l’Italia per l’importazione in Europa di grossi quantitativi di cocaina. La componente sudamericana pretendeva da quella spagnola che quest’ultima investisse anche nell’acquisto dei carichi di cocaina, anziché essere esclusivamente funzionale alla fuoriuscita dai porti della cocaina». Sarebbero stati i narcos spagnoli, dunque, a mettere chimici e palombari a disposizione dei gioiesi.

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