
L’intervista al boss Nino Imerti, il “nano feroce”, tornato in libertà dopo 28 anni di carcere duro, ha fatto molto discutere in città perché ha riacceso i fari della memoria sul periodo più buio della storia di Reggio Calabria, quello della Seconda Guerra di ’ndrangheta che ha insanguinato le strade reggine con quasi mille morti ammazzati tra l’ottobre 1985 e i primi anni Novanta.
Ieri abbiamo ricevuto la lettera del figlio del prof. Antonino Saraceno, che fu ucciso nel ’90 da killer mai scoperti. "Dopo aver letto l’intervista da voi pubblicata al sig. Antonino Imerti, non ho potuto non pensare a mio padre e non so se voi pubblicherete queste mie riflessioni, ma scriverle è un atto dovuto da parte di un figlio. Credo che sia troppo facile pensare di cavarsela con un semplice ammonimento ai giovani senza prima avere confessato i propri crimini, anche per rispetto di quanti ancora chiedono giustizia o semplicemente un perché. Sono problemi suoi se non sa chi ha messo l’autobomba ma non può parlare della guerra di mafia con l’atteggiamento di un reduce dello sbarco in Normandia e paragonare lo scempio e la distruzione che hanno portato in città alla guerra in Afghanistan".
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