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Operazione “New Generation” a Locri, Riccardo e Luca: il figlio del boss e l’amico fidato

Legati al clan Cordì avrebbero guidato un gruppo “collegato”

Dalla vasta operazione anticrimine, denominata “New Generation”, scattata poco dopo l’alba di ieri, emerge in modo cristallino, in virtù di capillari indagini compiute dai carabinieri grazie anche a centinaia di intercettazioni ambientali e telefoniche, che il nuovo e giovane gruppo del clan Cordì di Locri ruotava anche, con tanto di “sostanza”, attorno a due giovani rampanti, entrambi ieri destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere firmata dal gip reggino, Antonino Foti. Si tratta di Riccardo Francesco Cordì, alias “Ciuffo”, 26 anni, nato a Locri, e Luca Scaramuzzino, 29 anni, nato a Locri e residente a Gerace.
Riccardo Francesco Cordì è figlio del boss Cosimo Cordì, ucciso in un agguato di ’ndrangheta alla periferia di Locri nella seconda metà degli anni ’90, nonché nipote del defunto boss, Antonio Cordì, alias “U ragiuneri”.
Per gli investigatori dei carabinieri del Gruppo di Locri, del Comando provinciale di Reggio Calabria e per i magistrati antimafia reggini, i due sarebbero da «collocare nell’organigramma della consorteria» visto che «dirigono una collegata associazione finalizzata al capillare traffico di sostanze stupefacenti». Un traffico di droga, si legge ancora nell’ordinanza, «gestito direttamente da loro per il tramite di una pletora di soggetti certamente collegati e contigui anche al sodalizio mafioso».
A tal proposito, quindi, gli investigatori dei carabinieri e, soprattutto, i magistrati antimafia reggini, hanno pure posto in evidenza la «dimostrazione della riconducibilità alla cosca dei traffici di stupefacenti registrati in indagine dalle conversazioni, intercorse con i soggetti intermediari per la fornitura dello stupefacente, che dimostrano come gli indagati abbiano agito nell’interesse della cosca di ’ndrangheta di appartenenza dei Cordì, utilizzando il blasonato nome della consorteria a garanzia delle operazioni programmate e compiute».
«Emerge, inoltre – si legge sempre nell’ordinanza di custodia cautelare – la disponibilità di armi da parte e per conto della cosca per come accertato in esito all’attività tecnica disposta nell’ambito del procedimento». Ma non è tutto. «L’indagine – è stato scritto dal gip reggino – consegna, altresì, episodi che dimostrano in modo diretto l’assoggettamento della popolazione, il controllo del territorio di influenza e l’esercizio del potere di intimidazione».
Alla luce, quindi, di ciò, secondo il giudice per le indagini preliminari «può dirsi dimostrata l’esistenza ed attuale operatività del sodalizio mafioso, avente le caratteristiche descritte nell’articolo 416 bis e non può certo trascurarsi di considerare che, a definire il convergente quadro indiziario relativo alla condotta associativa di stampo mafioso a carico degli indagati, si inseriscono le condotte contestate agli stessi nel settore del traffico di sostanze stupefacenti, emergendo la sussistenza di un costituto associativo, partecipato da esponenti della cosca Cordì, registrandosi in indagine anche gli investimenti dei proventi delittuosi in attività di operazioni di narcotraffico realizzate in modo capillare sul territorio».

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